La nostalgia del siciliano dagli occhi blu: il disco pop di Frank Sinatra
Chi l’avrebbe detto che su We Love Radio Rock ci sarebbe stato spazio per un concept album di Frank Sinatra, l’uomo che praticamente inventò quel genere nel 1954 con “Songs For Young Lovers“, considerato unanimemente il primo LP tematico, cui sarebbero seguiti nei due anni successivi i bellissimi “In The Wee Small Hours” e “Songs For Swingin’ Lovers“? Eppure, eccoci qua.
Siamo nella seconda metà del 1969, Sinatra sente sul collo il fiato della concorrenza, il pop-rock sta soppiantando ogni genere, il crooning di Ol’ Blue Eyes sembra ormai inadeguato (e quel “Ol(d)” là davanti la dice lunga…).
Il Nostro viene da un periodo difficile anche sul piano personale, avendo appena vissuto quindici anni drammatici.
Dal 1951, anno del divorzio da Nancy Barbato, madre dei suoi tre figli, c’erano stati i matrimoni con Ava Gardner, causa della prima separazione e legame burrascoso esauritosi in un paio d’anni (anche se il divorzio sarebbe arrivato solo nel 1957), e quello con Mia Farrow, sposata nel 1966 e lasciata nel 1968, ma frequentata ancora a lungo, a più riprese e in varie epoche (tanto che non sorprenderebbe la conferma che il figlio di Mia, Ronan, sia in realtà di Sinatra e non di Woody Allen).
Il tutto in un vortice di conquiste che andavano da Lauren Bacall a Grace Kelly, per non contare quelle degli anni successivi al periodo di cui stiamo parlando.
Tale valzer sentimentale corrispondeva al momento d’oro professionale: erano gli anni in cui la carriera cinematografica aveva ripreso vigore, affermandolo attore di razza (vinse anche un Oscar quale Miglior Attore Non Protagonista), mentre sul fronte musicale i pochi cedimenti venivano supportati dall’attività del Rat Pack, gruppo di showmen costituito assieme a Dean Martin (il suo migliore amico, anch’egli italoamericano), Sammy Davis, Jr., Peter Lawford e Joey Bishop, la cui storia meriterebbe un capitolo a parte.
Archiviata la parentesi “di gruppo”, The Voice ricomincia a concentrarsi sui concept e parallelamente concede alla figlia Nancy di pubblicare sulla propria etichetta (la Reprise Records, da lui fondata per essere libero di produrre quando e quanto volesse) album che avranno un enorme successo: in soli due anni ne usciranno ben 5 a suo nome (parliamo di una sedicenne!), cui vanno aggiunti i due con Lee Hazlewood.
Il successo della figlia lo sorprende nel momento in cui lui si sta dedicando a collaborazioni illustri, dal brasiliano Jobim (ben due dischi) alla registrazione con Duke Ellington. Nel mezzo, per sfruttare la spinta di popolarità della ragazza, piazza un brano cantato in coppia, Somethin’ Stupid, molto pop anche se inserito in un album dal titolo sibillino: “The World We Knew“, il mondo che conoscevamo.
È il momento di tirare un respiro profondo. Frank si ritrova a cinquantaquattro anni ad avere una carriera lunghissima alle spalle, decine e decine di dischi che l’hanno reso un idolo e l’hanno portato dalla categoria “jazz singer” a quella di “easy listening” negli scaffali dei negozi, nelle classifiche dei giornali, nei canali delle radio. Ma i Beatles, i Kinks, la British Invasion hanno spazzato via tutto, anche Elvis, che era già stato “addomesticato” e non era più un concorrente, bensì uno stimato collega.
La vita personale ha un momento di stasi: si è appena separato da Mia Farrow, come abbiamo visto, e Frankie sente la solitudine nel pieno della mezza età, resa evidente dalla pubblicazione dell’ultimo disco, “A Man Alone“. Ma capisce che deve scuotersi se vuole riemergere, ed ecco l’idea! Farà un concept basato sul rimpianto di un uomo che prova nostalgia dopo l’allontanamento di moglie e figli, ma muterà il suono: meno jazz, meno atmosfere easy, bando alle banalità, più pop serio e sofisticato.
Per questo si rivolge a Bob Gaudio, l’uomo che stava dietro ai successi di Frankie Valli & The 4 Seasons, colui che aveva scritto Can’t Take My Eyes Off Of You (ricordate la scena del biliardo prima di partire per il Vietnam ne “Il Cacciatore“? Proprio quella: la canzone inserita nel juke box e cantata in coro da tutti per esorcizzare l’addio al loro piccolo mondo) e altre decine di brani del loro favoloso repertorio. Coautore di tutti i titoli dell’album, assieme a Gaudio troviamo Jake Holmes (colui cui i Led Zeppelin avevano scippato Dazed And Confused, pubblicata sul loro primo album pochi mesi prima), mentre anche la squadra degli arrangiatori viene completamente rinnovata, quindi largo a Charles Callelo e Joe Scott per dirigere l’orchestra.
Già dalla copertina si intuisce che ci si sta avventurando in territori nuovi: non più foto o ritratti pittorici dell’artista, ma il disegno della stazione di un piccolo centro abitato, su sfondo grigio come la giornata uggiosa che vi è rappresentata.
“Watertown” non è un nome di fantasia (esistono alcune città, negli States, chiamate così), ma la località è più un luogo della mente. Lì il protagonista si ritrova a contemplare la propria condizione, evidentemente più subita che cercata (e qui non ce la contavi mica giusta, Frankie).
La title track inaugura il lavoro come se si trattasse dei titoli di testa di un film: contrabbasso, bordone d’archi e fiati sul quale si innestano licks di chitarra, fino all’ingresso deciso della batteria e allo sviluppo orchestrale. Sembra uno di quei long-take cinematografici nei quali vediamo le scarpe di coloro che camminano frettolosamente sui marciapiedi e l’immagine che si allarga pian piano rivelando strade, persone, palazzi, auto: un fermento che presenta il solito, tranquillo tran tran di un’operosa cittadina classicamente americana. Solo che la tranquillità di tutti non appartiene al nostro protagonista, perché mentre quella vita scorre tranquilla, senza alcun intervento drammatico sottolineato da violini o da un tramonto spettacolare, lei semplicemente gli dice addio, Goodbye (She Quietly Sais). Forse per qualcosa di cui lui non si era ancora reso conto, ma annunciato da molti segnali ignorati.
La lotta tra la sofferenza amorosa e la considerazione della nuova condizione per un attimo, For A While, è quasi inebriante: il mondo ha ancora qualcosa da offrire a un uomo maturo che si sente pieno di energie e di esperienza.
Ma quando torna a casa e la trova vuota? Come staranno Michael & Peter, i suoi figli, così diversi da somigliare peculiarmente a ciascuno dei genitori? Meglio chiamare e sincerarsene: come vanno a scuola? Come stanno crescendo lontano dal padre? Rare sono le notizie, così come le occasioni d’incontro, durante le quali vorrei che fossimo tutti riuniti e… come? “Non puoi immaginare quanto stiano crescendo. No, non puoi proprio immaginarlo. Peccato tu non possa immaginarlo“.
Ed è a questo punto che ci si rende conto che se si fosse saputo quello che si conosce ora, ecco che si potrebbe cambiare, allora ecco che I Would Be In Love (Anyway). Proprio così, Elizabeth: tu eri tutto ciò cui avrei dovuto tenere, eri l’unica degna di appartenere a un sogno ormai finito, e rimani presente solo nel ricordo.
E What A Funny Girl (You Used To Be), cara Lizzie, quanto ci siamo divertiti, com’era bella la vita con te sempre lì attorno.
Ma What’s Now Is Now, ciò che è ora è adesso: un solo errore non può far cambiare idea, io ho già dimenticato tutto e potremmo ricominciare un’altra volta…
Ma lei che ne dice? She Says che dorme bene, ha una vita, fa cose e vede gente, il tempo è un po’ freddo, le solite cose. Ma cosa sta dicendo, ora? Dice che sta tornando a casa!
The Train è il gran finale, non si sa se reale o immaginato: tu e io saremo di nuovo a braccetto per la strada, passeggiando mentre aspettiamo che i figli escano da scuola e… fate sì che arrivi quel treno, lo aspetto sotto la pioggia, col viso tutto bagnato: osservo tutti i volti che vi sono alla stazione, tanto sono certo di riconoscere il tuo al primo sguardo, sono proprio sicuro, certo, lo riconoscerò…
Le aperture orchestrali, l’esecuzione da parte di un’orchestra “ritmica”, l’apprezzamento di Sinatra nei confronti delle canzoni (particolare curioso: le parti vocali vennero aggiunte in un secondo tempo, perché Frank non aveva ancora preso la giusta confidenza coi testi all’epoca dell’incisione delle basi e non si sentiva di cantare dal vivo in studio, come invece sua abitudine): tutto contribuì a rendere questo concept qualcosa di importante.
“Watertown” veniva pubblicato nel marzo del 1970. Verrà sempre considerato un capitolo a parte nella discografia di The Voice: un bellissimo album pop che vi consigliamo di ascoltare.