“Mentre le ombre si allungano” – Ritratto a 4 mani del Live dei La Crus.
“Oggi è soltanto un ricordo di ieri, prendimi adesso e trascinami giù, allarga le labbra su questa pelle, poi sciogli la vita e rovescia le ali”.
Le canzoni non sono invecchiate, dopo vent’anni questo spettacolo rimane un atto d’amore alle avanguardie che fecero grande l’Europa prima della seconda guerra mondiale ma anche il ritratto ostinato di un viaggio chiamato vita.
“Mentre le ombre si allungano” è un verso del brano Stringimi Ancora, e i La Crus lo hanno scelto per farci anche il titolo dello spettacolo che li aveva transitati nel XXI secolo e che oggi li riporta insieme dopo 12 anni di carriere (quasi) soliste. Sabato 15 febbraio al Teatro Magda Olivero di Saluzzo, Joe (Mauro Ermanno Giovanardi) è tornato a incrociare liriche e voce con i tappeti sonori di Cesare Malfatti, un’esigenza non una nostalgia e per chi c’era un dono prezioso da custodire anche se un po’ complicato da raccontare: le emozioni ti fregano.
“Un’altra possibilità e io la voglio”, direbbe una canzone che non c’era, per affogare nelle parabole oniriche questo esistere sbilenco che sta accompagnando la nostra generazione così deliziosamente incompiuta. Sparsa sul pavimento come i fogli di quei testi che a fine serata siamo corsi a farci autografare. “Forse questi sguardi qui attorno, perduti, smarriti di fronte al silenzio degli spazi che sembrano infiniti”. Poi il millesimato sonoro di un Malfatti con l’orchestra nelle macchine e nelle dita che scorrono la chitarra come un’amante conosciuta da sempre e dalla quale tornare per indovinare qualcosa di nuovo, perché una nota come un istante non sarà mai come prima.
“La finestra di casa mia produce colori affreschi di solitudine, la finestra di casa mia sorride piangendo alle foglie d’autunno, all’odore dei pini al sapore del vino alle piogge improvvise, la finestra di casa mia rimane aperta per vedere oltre la nebbia che spaventa”.
L’ouverture è dal disco Dentro Me, secondo dei primi tre della discografia ufficiale da cui è tratto tutto il materiale che viene riproposto. In un’ora e mezza scorrono titoli come Natale a Milano, Notti Bianche, Come Ogni Volta, fino a Sarà Domani e ai bis: Il Vino di Ciampi cantata insieme al graditissimo ospite (e amico) Luca Morino dei Mau Mau e L’Illogica Allegria di Gaber, gli unici momenti a luce piena e senza campionatori e dischi d’orchestra.
Nudi alla meta, chitarra e voce come tutto era iniziato quasi tre decadi fa. [Luca Battaglia]
C’è una connessione che lega, emozionalmente e fisicamente, i fruitori di una medesima esperienza spettatoriale, ed è quella linea più o meno immaginaria che li connette percettivamente al medesimo filo d’oro artistico, che emana da chi in quel momento – fattivamente e dal vivo – è artefice e “colpevole” di averli fatti raggruppare nella stessa sala.
Quel filo, quella connessione testimoniale, li unisce quasi fisicamente, accomunando i loro respiri, cuori, onde cerebrali e sguardi: è un legame praticamente epidermico, di quelli invisibili ma assolutamente esistenti, e che silenziosamente continuano poi ad agire anche dopo, a spettacolo finito – in una maniera del tutto segreta e impercettibile – alla stregua di un “effetto farfalla” artistico. E’ la medesima cosa che succede a chi osserva la stessa tela o scultura in un museo, o che si trova a leggere lo stesso libro allo stesso tempo, anche in sale parecchio lontane.
E, certamente, non fa assolutamente eccezione il partecipare ad uno spettacolo musicale esperito dentro un contesto teatrale, di per sé intimo ma sempre sensorialmente avvolgente. Questa è la prima sensazione che – a chi ha avuto la fortuna di vedere, ascoltare, assumere multisensorialmente le quasi due ore di spettacolo dei La Crus nella stupenda cornice del Teatro Magda Olivero di Saluzzo – è rimasta appiccicata addosso alla stessa maniera con cui il sole attiva la melanina nascosta nella nostra pelle contribuendo a renderla bruma, grazie alla chimica organica dell’essere umani.
E infatti, solo esseri profondamente non-umani sarebbero riusciti nell’impresa di uscire da quella sala teatrale – alla fine di quelle due ore di note e parole, gesti e fogli bianchi volteggianti – senza sentire addosso quel filo perfettamente teso fra sé, gli altri sodali spettatori, e i due artefici Giovanardi e Malfatti. Raramente mi è capitato di sentire così forte questo genere di connessione all’interno di un concerto, pur riconoscendo che – avendone in vita mia visti parecchi – la maggior parte di quelli mi aveva dato sensazioni irripetibili.
Ma difatti, non solo di concerto si è trattato: “Mentre le ombre si allungano” è una storia di vita quasi vissuta che può accomunare chiunque, perché costruita sulle canzoni più rappresentative del duo milanese Mauro Ermanno Giovanardi e Cesare Malfatti (più Alessandro Cremonesi, non fisicamente presente alla serata, ma il cui “spirito” di certo aleggiava tra le melodie e le parole), sulle parole di un canovaccio interpretate dal cantante Giovanardi che – tra un brano e l’altro – si fa attore perché (forse) anche protagonista vivente, e all’interno dei suoni e delle melodie suonate e campionate dal suo strumentista Malfatti, “afono” per esigenza, ma assolutamente “parlante” tramite le vibrazioni fisiche ed empatiche sincronicamente disegnate tra consolle e chitarre.
E mentre il primo costruisce lo spirito di una storia musicale, a cui dà corpo con le parole de suo narrato, il secondo penetra le une e le altre con note a volte dense a volte fluttuanti, e frammenti di voci provenienti da un passato mai stato così presente, tra i versi di Pasolini, Bufalino, Salinas e Pagliarini e le liriche di Tenco, che canta la sua amata Angela.
Il tutto mentre ectoplasmicamente alle loro spalle – ma concretamente ai nostri occhi – si materializzano immagini di spezzoni tratti dai primi esperimenti cinematografici di Man Ray e di parole estratte dai versi cantati e declamati dal vivo, campionate ed elaborate da Francesco Frongia nel suo montaggio che diventa un tutt’uno diegetico e metanarrativo.
La sensazione, alla fine della serata, è quella di aver assistito ad uno di quegli eventi difficilmente ripetibili, ma dei quali non si può evitare di augurarsi una prosecuzione o, anche meglio, una nuova e inedita composizione, se non imminente – seguendo in questo il vago diniego dei due artisti a fine spettacolo, bombardati dalle nostre affascinate richieste – per lo meno programmato e confermato.
Bisognerebbe chiederglielo a gran voce.
Ma forse è meglio sussurrarlo come fosse appendice dello stupendo spettacolo qui narrato, in coro, in modo da non spezzare il filo che ci ha legati tutti per una sera: mentre le ombre si allungavano anche su di noi. [Stefano Carsen]