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Behind Anatomy, ovvero Ellington al frullatore. Con intervista a Stefano Risso.

Sugli scaffali “Behind Anatomy” della premiata ditta Bearzatti Risso Barbieri. Finalmente qualcosa di nuovo.

Dico e affermo “finalmente!” perché lo attendevo con impazienza da tempo: precisamente, da quella sera del dicembre 2021, quando i tre presentarono il progetto all’Off-Topic di Torino, con un concerto che si prese in zona Cesarini, e non solo da parte mia, il titolo di più interessante dell’anno. A dimostrare che al cospetto delle marchette tutte tecnica e niente sentimento propinate da fior fiore di nomi venerati in tutto il mondo, la fantasia, l’iniziativa e il coraggio vincono il confronto a mani basse.

L’idea nasce da “Anatomy of a murder”, film girato nel 1959 da Otto Preminger, la colonna sonora del quale era firmata Edward Kennedy Ellington. The Duke, nientemeno. E dunque, cosa c’è “dietro” l’anatomia? Chi si aspettasse una reinterpretazione dei brani originali, a sua volta originale, perfino obliqua, addirittura stravolta, sbaglierebbe di brutto. Per tenere il passo di Francesco, Stefano e Mattia bisogna andare oltre, bisogna pensare oltre, e di molte lunghezze. Infatti, della colonna sonora rimane per lo più un’idea, un’impressione, un fil rouge che si percepisce a tratti in qualche melodia, ma soprattutto nel tappeto di suoni spezzettati, macinati e rimescolati che richiama, in lontananza, le sonorità e (a tratti) le strumentazioni degli anni ruggenti del jazz. Ma sopra, in primo piano, c’è qualcosa di completamente nuovo.

Francesco Bearzatti 02/12/2021 Torino, Off Topic

Degli otto brani dell’album, ben sette scaturiscono dalla feconda vena artistica di Stefano Risso: la cifra stilistica si coglie immediatamente in apertura, con il loop di suoni campionati dalle composizioni di Elligton, i quali, insieme con un drumming sommesso ma frenetico, fanno da ossatura a tutta “Oneemo”. Ossatura che, a tratti, sembra essa stessa avvolgere e sovrastare il corpo, costituito da un ritmo teso di batteria e contrabbasso, su cui il sax improvvisa in libertà intorno a un tema ricorrente.

Il moto procede ondeggiante, con un alternarsi (non regolare) di brani in cui la tensione ritmica è padrona della scena, e altri nei quali la melodia morbida prevale e si avvicina, con molta circospezione, alle atmosfere orchestrali di Ellington, come in “Anatomie equilibriste” o “Il cane al plutonio”.

E non per caso “À la Guy Lombardo – À la Guy Le Querrec”, nella quale Risso compare in qualità di co-autore con Ellington in persona, è quello che più di tutti gli altri svela il linguaggio di partenza del lavoro, riducendolo però a spezzoni melodici e a un trito digitale dei suoni che furono: quasi un divertissement volto a rallentare i ritmi e a donare un po’ di relax alle atmosfere tese di “Lee’s dance” e “Full optional”, occhieggianti al free in modo nemmeno troppo velato. Impareggiabili i tratti di duetto tra Francesco Bearzatti e le reminiscenze orchestrali delle origini.

Tre quarti d’ora intensissimi, in cui il lavoro solista è prevalentemente affidato ai sassofoni di Francesco, che ne trae tutte le timbriche possibili: passare dal velluto al rasoio o viceversa è un attimo, come si dice. Le sue note sono bagliori luminosi e colorati che balenano su di un tappeto dalle tinte scure. Stefano Risso, con le sue quattro corde e con l’uso sapiente dell’elettronica, ne è il tessitore: e il tappeto si fa guida ed attutisce il passo, indica il percorso e – perché no – si leva in volo al ritmo del motore possente ma discreto di Mattia Barbieri. Le pelli e i piatti di Mattia sono arricchiti da un set di accessori percussivi che ne ridefiniscono il suono e molto donano alla novità del linguaggio musicale. Dopo un solo misurato e intrigante, è sua la volata finale, a condurre “The dreams” in un crescendo che artiglia il respiro di chi ascolta: ti rapisce e ti porta via, per lasciarti precipitare senza respiro quando i suoni si dissolvono all’improvviso.

Un finale “à bout de souffle” per un lavoro che si ascolta tutto d’un fiato, perché entra in profondità e proietta in alto… e quando termina procura fortissima la sensazione di cadere nel vuoto. Impossibile non farsi sorprendere, impossibile non ammirarlo. Per me, amore al primo ascolto.

Mattia Barbieri 27/04/2024 Torino, CAP10100

Fin qui, la mia personale visione. Ma è senza dubbio più interessante sapere cosa ne dicono i tre protagonisti, che, attraverso la disponibilità di Stefano Risso, mi hanno riservato la cortesia di rispondere a qualche domanda in esclusiva per WLRR.

WLRR:
Buongiorno Stefano. Complimenti a tutti e tre, innanzitutto, e grazie per il vostro tempo e la vostra disponibilità. La prima domanda è quasi d’obbligo: da cosa è nata l’idea di “Behind Anatomy” e come si è sviluppata?

Stefano Risso:
Il gruppo nasce da un’intuizione di Mattia Barbieri, che aveva in testa di provare a suonare con me e Francesco: era convinto che ne potesse nascere una musica interessante.
Io ho pensato a lungo a cosa mi sarebbe piaciuto fare con questi due super musici.
A me non piace suonare materiale a caso, solo per fare musica assieme (e mi pare che in merito, tutti e tre condividiamo la stessa idea) quindi ci ho messo un po’ a trovare l’idea: così è nato “Behind Anatomy”.

WLRR:
Quanta improvvisazione c’è nel vostro procedere compositivo? Voglio dire, scrivete le partiture e ci lavorate su, o vi lasciate andare all’inventiva “qui ed ora” per poi trascrivere quanto avete creato?

SR:
Io personalmente non vedo molta differenza fra i due processi. Pratico la composizione e l’improvvisazione da quando ho iniziato a suonare, fin da giovanissimo, e sono sempre stati due processi complementari, due facce della stessa medaglia. E’ solo una questione temporale e di possibile rimaneggiamento del materiale. Tutte le volte che inizio il corso di tecniche dell’improvvisazione (Stefano è docente di Conservatorio, n.d.r.) racconto sempre che ho imparato ad improvvisare componendo e a comporre improvvisando.
Nel caso di “Behind Anatomy”, però, c’è tutto un lavoro di produzione elettronica che deve essere fatto in maniera certosina, prima del lavoro di scrittura delle parti del trio. Anche quello è un lavoro di composizione che in questo caso è venuto prima. Anzi è proprio da quella produzione che è scaturito il resto.

WLRR:
Dall’idea alla pubblicazione sono trascorsi quasi tre anni e avete inciso gran parte del materiale ad inizio 2024. Serviva un periodo di decantazione? O vi sentivate un po’ in anticipo sui tempi?

SR:
Ah Ah! In anticipo sui tempi mi fa sempre sorridere: il mio primo disco in duo con Lalli ha ricevuto un riconoscimento solo due o tre anni dopo la sua uscita. Mi ha raccontato Marco Pandin – che l’ha prodotto – che molti critici, col tempo, gli hanno confessato di non averlo assolutamente capito quando lo hanno ricevuto.
Se potessi dedicarmi solo alla produzione della musica (ideazione, composizione e realizzazione) con un reale supporto al lavoro, senza quindi dover pensare a tutto il resto che sta di contorno, penso che potrei realizzare due o anche tre dischi all’anno, tutti zeppi di idee.
Purtroppo non è così, quindi i tempi si dilatano sempre. Ma alla fine si arriva comunque.

WLRR:
Tra il famoso concerto all’Off-Topic e la pubblicazione dell’album, avete presentato una versione arricchita del progetto al CAP10100, sempre a Torino, per il Torino Jazz Festival 2024: in quell’occasione avete musicato dal vivo il film nella versione spezzettata, rimescolata e distorta di Simone Sims Longo. Tornerete sui palchi in “quartetto”?

SR:
Alcuni brani erano da interiorizzare e limare maggiormente, ma il materiale compositivo era già quasi tutto pronto per il concerto dell’Off-Topic, tranne “À la Guy Lombardo – À la Guy Le Querrec”, che ho pensato e realizzato in un secondo tempo, capendo quindi come suonava il gruppo e come avrebbe potuto reagire su un materiale simile. Ho pensato a quale sound avrebbe potuto integrare ulteriormente la palette di colori dell’intero disco, e che invece stavamo rischiando di perdere. Nel merito, per quanto riguarda la produzione di un disco, la sfida è sempre cercare una varietà di colori mantenendo una forte unità formale. Non so se in tutti casi ho raggiunto l’obiettivo, ma sicuramente è quello che cerco sempre. Tornando alla tua domanda diretta, sì, il progetto è proprio pensato per essere portato in giro nelle due versioni: quella in forma di solo concerto e quella con la parte di visual. Simone Sims Longo è un musicista elettronico e soundartist che stimo molto per la sua visione e la sua sensibilità. Gli ho dato il film e la musica del trio e gli ho chiesto di provare a fare un intervento prestando però attenzione alla perfezione del bianco e nero del film originale: mi pare che abbia lavorato centrando l’idea, in maniera perfetta.

Stefano Risso 27/04/2024 Torino, CAP10100

WLRR:
Qualche data all’orizzonte?

SR:
Sì, si stanno delineando nuovi appuntamenti per la primavera e l’estate. Vogliamo portare il disco in giro. Nicola Adriani ci sta aiutando in tutta quella parte di vendita che di fatto è una delle componenti di cui parlavo prima, quelle che ti portano via dalla realizzazione della musica.

WLRR:
In origine il progetto si chiamava DownBitDuke, un bel “pun” su Downbeat e sulla scomposizione all’unità minima digitale (bit) delle musiche di Ellington. Perché avete poi deciso di pubblicare l’album con un “piglio” meno enigmatico, meno complesso?

SR:
È stato un suggerimento di Marco Valente di AUAND, che ha prodotto il disco. Io molto spesso ho intitolato i dischi di cui ho pensato la musica con un nome che non fosse il nome proprio mio o dei musicisti perché lo trovo un retaggio legato al passato del jazz, poco rappresentativo della musica di oggi. Ma Marco insiste da anni perché cambi visione. Sostiene che io, che ho fatto molti dischi e progetti, alla fine proprio per questo motivo, non vengo mai sufficientemente riconosciuto. A questo giro abbiamo deciso di dargli retta. E come al solito aveva ragione il grande, saggio Valente!

WLRR:
A mio avviso, il vostro album definisce un linguaggio ricco di novità. Robustamente poggiato sulla tradizione, non suona tradizionale; strizza l’occhio al free, ma non è free jazz; non è musica elettronica, benché l’elettronica abbia un ruolo importante, tanto da far pensare a un quarto musicista “fantasma”. Quale vocabolario serve per decodificarlo fino in fondo?

SR:
Ma sai che alla fine io sono un onnivoro! Mi piace da James Blake a Gil Evans, da Alva Noto a Bob Marley, dalla Musica Sacra a John Zorn.
In soldoni, la musica va ascoltata. La cosa che cerco maggiormente in un nuovo progetto musicale è la sorpresa. Provo sempre ad immaginarmi una musica che non mi pare di avere mai ascoltato. Amo e ho praticato molti linguaggi, dalla canzone all’improvvisazione totale. E mettendo insieme elementi differenti, seguendo ed ascoltando quello che avviene, è possibile sorprendersi. Non ho la pretesa di aver inventato qualcosa, ma cerco di provare a sorprendermi.

WLRR:
E senza dubbio sorprendi chi ascolta! Quale suggerimento daresti a chi desidera “rintracciare” Duke Ellington nel vostro album?

SR:
Tutte le parti elettroniche sono il risultato della rielaborazione dei file audio della colonna sonora originale. Qualcosa è decisamente stravolto, praticamente irriconoscibile, altre cose invece sono più chiare. In particolar modo “À la Guy Lombardo – À la Guy Le Querrec” è molto riconoscibile. Il lavoro che c’è li dietro è un taglia e cuci su due brani di differente tonalità e velocità. Ne viene fuori una sorta di Ellington al frullatore sul quale ho scritto delle parti nuove per il trio, il tutto condito con una buona dose di ironia. Il risultato è un po’ schizofrenico, ma lo trovo molto avvincente.

WLRR:
Infine, il vostro trio è dimostrazione di come il tutto possa essere maggiore della somma delle parti. Avete già idee per un nuovo progetto da realizzare insieme?

SR:
L’idea di continuare sulla stessa linea e procedere con questo suono di rielaborazione e riscrittura di musica già esistente ci piace parecchio.
Lo stesso format, magari proprio su una colonna sonora di un film.
Abbiamo già in mente un paio di dischi. Per ora il progetto è ancora in fase embrionale, ma prima o poi incominceremo a metterci mano.

WLRR: Bene, ti ringrazio ancora una volta per la tua disponibilità. Ti saluto con l’augurio di rivedervi presto insieme sul palco.

SR:
Grazie a te da parte di tutti noi. A presto!

copertina del cd

Francesco Bearzatti, Stefano Risso, Mattia Barbieri
BEHIND ANATOMY
Auand Records, 2024 – AU9108
EAN: 8031697910824

Streaming / Download digitale: https://lnk.fuga.com/behindanatomy

Stefano Barni

Curo le foglie. Saranno forti, se riesco a ignorare che gli alberi son morti.