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Non Sappiamo Cosa Ha in Serbo il Domani – The Smile

The Smile – Anfiteatro Romano Pola 15-6-2024
Testo di Ettore Craca – Foto di Leonardo Caneva

Pola è immersa nella luce in questa serata che oscilla sul bordo di una primavera incapace di lasciarsi dietro i mantelli di pioggia che l’hanno vestita quest’anno. Il cielo è terso, solcato soltanto da gabbiani di passaggio, sull’anfiteatro piccolo della città che si sta riempiendo rapidamente mentre i borbottii elettronici di James Holden allagano lo spazio antistante il palco e si arrampicano sulle gradinate. 

Il piccolo teatro ha preso il posto dell’Arena luogo originariamente deputato ad accogliere nella loro unica data croata gli Smile, la band che ha riunito sotto un vessillo “sorridente”  Thom Yorke e Jonny Greenwood  dei Radiohead e Tom Skinner dei Sons of Kemet. Forse un errore di valutazione da parte del promoter quello di pensare all’Arena come venue per un progetto che per quanto veda in formazione le due star britanniche rientra ancora in un alveo di culto, ancora lontano dalla fama consolidata della band madre. 

L’anfiteatro romano appare invece il luogo perfetto per dare all’evento quell’intimità necessaria all’ascolto attento che la proposta degli Smile richiede e merita. 

E’ quasi completamente buio quando accolti da uno scroscio di applausi i tre musicisti salgono sul palco accompagnati dal polistrumentista Robert Stillmann a completare una formazione che per le due ore seguenti faranno immergere l’audience in un mare di suono dai riflessi continuamente sorprendenti. 

Skinner è a destra tra pelli e piatti, Greenwood al centro circondato da chitarre, bassi, synth e tastiere, Yorke a sinistra in una situazione pressochè analoga al compagno. Con grande naturalezza la chitarra acustica di Yorke da il via a “Wall of eyes” che apre le danze di quello che si rivelerà un avventuroso viaggio nei territori di una musica totale, libera, difficilmente incasellabile in formule talmente la stessa è allo stesso tempo intrisa del sapore di molteplici esperienze sonore degli ultimi cinquant’anni e ciononostante svincolata dal peso delle stesse. 

Così in una sorta di prisma che lancia intorno riflessi di luce e colore sempre cangianti, il continuo scambio tra i quattro musicisti porterà a richiamare a tratti le vibrazioni del Miles Davis elettrico dei primi anni settanta, i sinuosi colori pastello di certo Canterbury Rock, il minimalismo ipnotico di scuola Reich-Glass,  asperità elettroniche a la Aphex Twin, gli anelli di groove dei Can, i frippertronics dei King Crimson era “Discipline”, bordate di wave rock figlie dei Neu ! e Magazine, addirittura nel finale dell’immensa “Bending Hectic” una colata di sludge metal.

Il tutto in una costante sfida ritmica su tempi complessi, che solo in un paio di occasioni: le note “You’ll never work in television again” e “We don’t know what tomorrow brings” si ancorano ad un ordinario quattro quarti. Yorke e Greenwood cambiano strumento ad ogni nuovo brano, quando il primo ha la chitarra in mano, l’altro prende su il basso o un synth, per poi cambiare di nuovo ruolo in una girandola di strumenti padroneggiati con una naturalezza impressionante quasi stessero suonando del semplice pop intorno ad un falò in spiaggia. 

Eppure gli Smile non perdono mai il contatto con la forma canzone, che per quanto stirata, strattonata, tirata per i capelli, resa a tratti poco riconoscibile, è sempre lì, sotto il ribollire del suono,  guidata dalla voce di Yorke che mantiene sicuro il volante nel viaggio della musica dalla mente dei musicisti al pubblico che, seppur a tratti frastornato, risponde in modo progressivamente sempre più caloroso ed entusiasta man mano che la setlist viene snocciolata andando a toccare quasi integralmente i due album pubblicati con l’aggiunta di quattro inediti e di una travolgente “Feeling Pulled apart by horses” dello Yorke solista.


La conclusiva  “You Know Me” porta l’intero anfiteatro, ormai tramutatosi in una sorta di astronave , fuori orbita verso l’outer space. 

La capacità di Yorke e Greenwood di continuare, nonostante il grande successo, a sfidare il proprio pubblico portandolo su territori mai scontati, a tratti anche impervi riuscendo persino ad ampliarlo ogni volta  è una costante di tre decenni di musica insieme e gli stessi unendo le forze con la fantasia ritmica di Skinner hanno dato un’ulteriore impulso a quella che è senza tema di smentita una delle vicende sonore più stimolanti ed affascinanti degli ultimi trent’anni. 

Si chiama Arte, ed ha la A maiuscola. 

 

 

Ettore Craca

"Nel suono, nella pagina, nel viaggio, nell'amore io sono. In ogni altro luogo e tempo non sono".