ElettronicaJazzLive ReportsRock

Jazz Is Dead 2024, a Torino la musica senza forma

Come ormai conseutudine, il Bunker ha ospitato l’edizione 2024 di Jazz Is Dead, festival dedicato alla musica senza confini di genere

Ogni anno, a Torino, il jazz muore e rinasce, e la mitologica fenice che rende possibile il miracolo si chiama Jazz Is Dead. Giunto alla settima edizione, quella del numero perfetto, il festival ideato e diretto da Alessandro Gambo continua a macinare proposte da prima pagina, con un successo di critica e pubblico in continua crescita.

La perfezione – grazie alla bravura, all’esperienza, alla forza di volontà – si è vista chiara nella prima giornata, venerdì 24, quando sulla zona del Bunker si è abbattuto un uragano epocale, che nel corso di uno scroscio torrenziale ha depositato sul terreno svariati centimetri di grandine, tanto da trasfigurare il circondario in un paesaggio invernale, ma con gli alberi verdi e fronzuti. E va sottolineato che nemmeno un disastro di tali proporzioni ha fermato Jazz Is Dead. Sfruttando i numerosi spazi, anche coperti, disponibili al Bunker, l’organizzazione è riuscita a mantenere il programma, sebbene con qualche ritardo e cambiamento dell’ultimo minuto. Anche la diretta RAI3 del concerto di Valentina Magaletti e Marta Salogni è andata in onda regolarmente: la registrazione può essere ascoltata sul sito RaiPlay Radio. Su ursss.com è inoltre disponibile il filmato integrale dell’esibizione.

Le successive giornate si sono svolte in un piacevole clima promaverile. Nella consueta atmosfera di amicizia, voglia di stare insieme e di partecipare ad una festa collettiva, la musica ha agito da elemento unificatore, portando il pubblico ad affollare lo spazio del palco all’aperto (utilizzato quest’anno per la prima volta) durante i concerti, e a raggiungere l’area dj e quella dedicata al mercatino e alla ristorazione negli intervalli: una sorta di ritmo respiratorio, quasi il passaggio dall’apnea ipnotica dei concerti al respiro libero tra un’immersione e l’altra.

Dan Orlowski – Nu Jazz

Tra gli artisti che si sono susseguiti sul palco sabato 25, abbiamo seguito Cindy Pooch, franco-camerunense, che nella sua musica unisce tracce di soul a strutture ritmiche e melodiche caratteristiche dell’africa centrale, ma anche elementi di musica latina. E’ stata poi la volta di Le Cri Du Caire, trio guidato dal vocalist egiziano Abdullah Miniawy. Accompagnato dal sax di Peter Corser e da Karsten Hochapfel, virtuoso del violoncello, Miniawy crea con la sua voce preziose suggestioni sonore, mentre i testi, attraverso la riflessione sulla propria vicenda personale e sulla vita in esilio,  cantano il desiderio di libertà dei giovani oppressi dalla dittatura. E poi, il rock energico di I Hate My Village, quartetto capitanato dal batterista Fabio Mingardini e da Adriano Viterbini, fantasista della chitarra elettrica – già noto per rappresentare metà del duo Bud Spencer Blues Explosion.

Massimo Pupillo – RuinsZu

Domenica 26 è la volta (nello spazio chiuso e vagamente claustrofobico del Club) delle atmosfere rumorose e stranianti di Rob Mazurek e Gabriele Mitelli, per un concerto di voci, trombe, elettronica ed oggetti. Sul palco esterno salgono poi i newyorkesi Nu Jazz, per la prima volta in Italia: un supergruppo formato da alfieri dell’hardcore elettronico, sul quale innestano le sonorità jazz della tromba di Ryan Easter ma, soprattutto, il ruggito rabbioso della leader e front-woman Dan Orlowski. La carica di energia arriva al parossismo con il concerto successivo, che vede sul palco i RuinsZu: una superband generata dalla fusione dei Ruins e degli Zu. Il progetto RuinsZu è un trio formato dal batterista e cantante Tatsuya Yoshida dei Ruins e dai cofondatori degli Zu, Massimo Pupillo al basso elettrico e Luca T. Mai al sax baritono. La potenza caratteristica di entrambe le band originarie ne risulta esaltata ed amplificata, con sonorità strumentali pazzesche a cui si aggiunge la voce di Yoshida, che canta i testi scritti in una lingua inventata appositamente. Il richiamo al Kobaiano di Christian Vander (Magma) è esplicito, così come è palese la matrice prog dell’ispirazione. L’atmosfera si rilassa infine con l’esibizione di Daniela Pes, che amalgama percussioni ed elettronica al suono suggestivo della sua voce. Il canto di Daniela Pes, che raggiunge a tratti un lirismo intenso, si basa su suoni del gallurese antico, su frammenti di italiano e su lemmi inventati: la voce è utilizzata, di fatto, come uno strumento musicale, con effetti immaginifici e spiazzanti.

Daniela Pes

Jazz Is Dead avrà a breve un epilogo: una performance del trombonista Gianluca Petrella al Planetarium dell’Osservatorio Astronomico di Pino Torinese. Per la prossima kermesse di musica senza forma, appuntamento tra un anno per l’ottava edizione.

 

Jazz Is Dead 2024

24-26 maggio 2024 Torino, Bunker

 

Le Cri Du Caire 25/05/2024 Torino, Bunker
Author: Stefano Barni
« di 15 »

Stefano Barni

Curo le foglie. Saranno forti, se riesco a ignorare che gli alberi son morti.