Something.
Riccardo Russino, “Contesa e calpestata” (Caissa Italia Editore)
Nell’ipotesi sempre meno fantascientifica che l’intelligenza artificiale possa comporre musica, scrivere testi, inventare capolavori, c’è una crepa. E mai mi è stato così evidente come leggendo un libro di 163 pagine, stanotte.
Intendiamoci, ho letto romanzi che mi hanno regalato emozioni incredibili, scritti con uno stile impeccabile, testi che mi hanno solleticato e turbato, capaci di tenermi con il fiato sospeso e di spargermi brividi lungo tutto il corpo, storie che ho raccontato e discusso e sviscerato con altre persone.
E com’è evidente per chi mi conosce, sono assolutamente scettica rispetto alla possibilità che una macchina sia in grado di fare altrettanto; ma non posso escludere che con una accurata programmazione software le prossime generazioni di computer sappiano scrivere intrattenimento appassionante.
Quello che però nessun cervellone elettronico sarà mai in grado di riprodurre è quel groviglio di passione, sofferenza e ossessione che sta alla base dell’ispirazione artistica: quella che tesse trame, che cerca rifugio e vie d’uscita, che accoglie sentimenti e poi li vomita quando raggiungono il limite. Perchè niente e nessuno avrebbe mai potuto inventare le storie che hanno legato tra loro George Harrison, Eric Clapton, Pattie Boyd e la musica che ne è derivata.
Invece Riccardo Russino, con il pretesto nobile e affascinante di raccontare le contraddizioni e la rivalsa di una ragazza inglese degli anni Sessanta, descrive minuziosamente, con una straordinaria capacità suggestiva, quali sottili corde muovano la mente e il cuore umano di artisti destinati al mito. Sono Storia, sono Magia, sono il Rock maiuscolo che ha conquistato e segnato intere generazioni ma falliscono e cadono, perdendo molto più di quanto scommettono, spesso più di quanto possano permettersi. Desiderano amore e lo aspettano, poi lo sciupano, lo strappano: dalle lacerazioni che procurano e si procurano sgorgano canzoni come sangue, umori, infelicità e soddisfazione.
Pattie Boyd, bionda modella dalle gambe lunghissime è una pedina mossa al suono languido, disperato e prepotente di due chitarre leggendarie, strattonata tra due uomini narcisi e sbandati, infedeli, incoerenti: il suo nome che risuona nelle strofe di canzoni immortali, e nient’altro.
È una storia che trasuda desiderio, che dei suoi protagonisti non sottovaluta nulla: il genio, l’amicizia, l’ingenuità, la competizione, la sconfitta, la speranza, l’abisso, l’anima.
È la prova di quanto l’ispirazione è una cosa da esseri umani.
Pochi mesi prima di morire per un tumore nel 2001, passeggiando con Pattie (da molti anni sua ex moglie e ormai anche ex di Clapton), George Harrison le dice: “Guarda, quel fiore trema”.
Un computer non lo concepirebbe nemmeno. George, ci avrebbe scritto una canzone.