TOdays 2023 Day 1, il live-report.
TOdays Festival – Torino 25/08/2023
C’è sempre un’atmosfera bellissima al TOdays Festival e quest’anno sembra anche un pochino più rilassata.
Il Festival torinese per antonomasia quest’anno inizia sotto un sole cocente, ci sono trentasette gradi in parte mitigati da una leggera brezza che non modificherà le sorti del sottoscritto: durante la giornata cambierò lo stesso numero di magliette quanti sono stati i cambi d’abito di Tim Harrington dei Les Savy Fav durante la sua esibizione. Sarà perché occhio e croce occupiamo lo stesso volume e ci portiamo in giro quei due o tre etti di troppo?Dicembre è il mese in cui girano tra noi appassionati le liste personali delle migliori uscite dell’anno, per quanto possa valere il mio disco preferito del 2022 fu proprio il bellissimo esordio “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me”dei King Hannah ed è il motivo per cui avevo una gran voglia di vederi dal vivo.
Alle 18:30 in punto Hannah Merrick e Craig Whittle accompagnati da Oliver Gorman e Jake Lipiec salgono sul palco e a vederli sono proprio come me li aspettavo, semplicissimi: lei quasi diafana con una camicia a quadri che è diventata un po’ la sua seconda pelle, lui t-shirt bianca e un cappellino da baseball. Ad accoglierli c’è già un pubblico molto numeroso, a dimostrazione che questa è una band che ha già fatto breccia nei nostri cuori.
Poi cominciano a suonare ed è subito magia. A Well-Made Woman ci introduce al loro mondo e la accogliamo con un boato, subito dopo arriva la cover di State Trooper di Bruce Springsteen ed è una meraviglia. La facevano molto bene i Cowboy Junkies, ma la loro versione è ancora più bella: è scura, sporca, sofferta, ha l’odore dei motel di Sam Shepard e quello dell’asfalto bagnato, il rumore di un tuono in lontananza. In un ipotetico Nebraska elettrico, sarebbe stata perfetta.
In un concerto inattaccabile da qualsiasi punto di vista gli otto minuti di The Moods That I Get In si elevano a vetta assoluta. Lenta e avvolgente, dolcemente psichedelica, inizia come un brano dei Mazzy Star dove subentrano distorsioni alla Crazy Horse, il suono delle chitarre è meraviglioso. Nella lunga deriva strumentale ci senti dentro anni di tutta la musica che amiamo e Craig sfodera un assolo di chitarra che include la furia di Neil Young, l’eleganza di Mike Campbell e i feedback controllati dei Sonic Youth. Quanta bravura!
Chiudono con It’s Me and You, Kid, che è anche la canzone che sigilla il loro disco d’esordio. Inizia lenta e strascicata ma diventa fragorosa e incalzante dopo lo stacco centrale ed è la bomba finale di un concerto praticamente perfetto.
Stiamo assistendo alla fioritura di una band dalle enormi potenzialità che sono certo non si perderà per strada.
Il miglior rock americano in questo momento arriva da Liverpool.
Il concerto dei newyorkesi Les Savy Saf sta tutto dentro alla straripante esibizione del cantante Tim Harrington. O meglio, siamo arrivati alla conclusione che il vero protagonista dello show è stato il cavo del suo microfono lungo almeno cento metri. Srotolato e riavvolto un’infinità di volte da un suo tecnico di palco, è passato attraverso transenne, spie, gambe, ha sorvolato teste, intralciato il pubblico e lo stesso cantante che non ha dato tregua agli spettatori coinvolgendoli in siparietti simpatici e scenette improvvisate. A volte il satiro arancione si è lasciato andare a qualche eccesso di teatralità ma non ha mai sfiorato la volgarità.
Gli occhiali a maschera specchiati, la barba arancione, la maschera da pirata, le mutande fucsia, la palandrana multi-color, il ventilatore usato per raffrescare le parti nobili, la panza esibita con nonchalance hanno divertito e coinvolto tutti. Avesse passato un po’ di tempo in più sul palco non avrebbe distolto troppo l’attenzione dalla performance della band che lo accompagna che di suo ha offerto una prestazione rimarchevole su un repertorio fatto di schegge post-hardcore ottimamente eseguite.
I Warhaus hanno glassato l’atmosfera della prima serata dei Todays: la voce di Maarten Devoldere come sciroppo tiepido lasciato colare su un dolce. Una track list composta per la maggior parte dai pezzi del suo ultimo lavoro “Ha ha heartbreak”, uscito a fine 2022, un album scritto sotto l’effetto addensante di un dolore egoista ma che Maarten ha saputo rielaborare e stemperare con l’aggiunta di una delicata nostalgia, quasi desiderio, di certo sensuale magnetismo.
Il resto, lo hanno fatto la sua voce da crooner in versione dandy, elegantissimo e fascinoso e il resto della band tutta maschile: Michiel Balcaen, Jasper Maekelberg, Tijs Delbeke. Da “Desire” a “When I am with you”, da “It had to be you” fino a chiudere con la magica “Open Window”. Menzione speciale per “Love is a stranger”, struggente e appassionata anche senza la voce di Sylvie Kreusch, anzi così ancora di più.
La prima serata del festival è andata sold-out la sera stessa per la presenza, c’è da scommetterci, dei sei fuoriclassei di Chicago.
Ogni volta che vedo un concerto dei Wilco invidio coloro che stanno per assistervi per la prima volta. Lo dico sempre.
Li vidi per la prima volta nel 2005 e da allora con loro è sempre stata un’epifania. La qualità media degli show a cui ho assistito (venerdì è stato il diciottesimo) non è mai scesa sotto a livelli di pura eccellenza.
Uno dei più belli in assoluto fu proprio al TOdays (allora si chiamava Spaziale) sedici anni fa. Fu la serata delle continue richieste per Casino Queen da parte di uno spettatore ubriaco (poi svenne e fu poi portato via a braccia) e della famosa interruzione di corrente durante Spiders (Kidsmoke).
Loro, imperturbabili, accompagnarono il pubblico con percussioni e strumenti acustici che continuò a cantare il riffone del pezzo per poi riprenderlo una volta tornata la luce dal punto esatto in cui se ne andò. Episodio che anche i Wilco stessi ricordano divertiti e sono stato lungimirante quando in un post qualche giorno prima del concerto dissi che avrebbero aperto il concerto di venerdì proprio con Spiders. Era anche il compleanno di Jeff Tweedy che durante la serata ha ricevuto molti cori di Happy Birthday, ma il regalo ce l’ha fatto lui.
Non so quante band attualmente in circolazione siano in grado di proporre scalette diverse ogni serata senza perdere un minimo di qualità delle stesse. Valga come esempio: nelle tre serate primaverili che i Wilco hanno tenuto in Islanda hanno eseguito 69 brani diversi, 23 pezzi ogni sera senza nessuna sovrapposizione. Fenomeni.
C’era un giochino che usavamo fare quando eravamo più giovani: “quali sono le migliori live-band di tutti i tempi?” Le risposte erano del tipo: la E-Street Band, gli Heartbreakers di Tom Petty e i Rolling Stones. Dovessimo ripeterlo oggi non avrei nessun dubbio nel citare i “ragazzi” di Chicago come i Numero Uno. Non c’è partita (gli Heartbreakers non esistono più, per i motivi che purtroppo conosciamo), tutte le altre sono distanziate di molte lunghezze.
La coesione che hanno raggiunto è incredibile, vederli da vicino permette di apprezzare quanto poco gli serva per intendersi, un breve sguardo, un piccolo cenno e anche le canzoni più complesse prendono vita e scorrono fluide e perfette una dopo l’altra fino alla fine.
John Stirratt e Glenn Kotche sono una sezione ritmica da sogno. Pat Sansone cuce tutto con una classe infinita, Nels Cline si diverte come un pazzo e suona sempre meglio, nelle retrovie Michael Jorgensen continua e tessere delle stupende trame di pianoforte e tastiere. Jeff Tweedy ha la stessa meravigliosa voce di trent’anni fa, canta con la stessa credibilità i brani più furiosi e quelli più delicati. Non so quante altre band possano contare su fuoriclasse del genere.
Si diceva di Spiders (Kidsmoke). L’avete sentita a fare da sfondo all’episodio sette della prima stagione di The Bear, quella dove nel ristorante appena riavviato esplode un caos incontrollato? Una macchinetta sputa continuamente fuori ordinazioni su ordinazioni, un tablet che non funziona, la cucina che non riesce a stare dietro alle comande, gente che urla, personale che si licenzia sul momento. Il caos totale. E sotto i Wilco col loro ritmo alla Neu! e il riff squarcia-tutto. Fighissima.
Metterla a inizio set è stato un colpo di genio e in dieci minuti siamo ringiovaniti tutti di sedici anni.
A seguire I Am My Mother e Cruel Country dall’omonimo recente album, eseguite alla perfezione. Dopo qualche album non perfettamente centrato (“Star Wars”, “Shmilco” e in parte “Ode to Joy” avevano un po’ deluso le aspettative) con “Cruel Country” i Wilco sono tornati ai livelli stellari di loro competenza. Non c’è un brano meno che bello e la sequenza è praticamente perfetta.
Dallo stesso disco più avanti in scaletta arriva quel gioiello intitolato Bird Without a Tail / Base of My Skull che dal vivo è un’impalcatura su cui si ergono improvvisazioni elettro-acustiche degne dei migliori Grateful Dead. La sua resa è meravigliosa e la canzone trova nell’esecuzione live la sua vera dimensione.
Anche Falling Apart (Right Now) si amalgama perfettamente coi classici del gruppo e fa da assist alla loro canzone più attesa: Impossible Germany è una delle canzoni che ti riescono una volta sola in carriera, amata da tutti per gli assoli che il funambolico Nels Cline mette in pista, ma di quel pezzo sono sublimi anche le armonie intrecciate dalle chitarre.
I Am Trying To Break Your Heart ha la classe di un super-classico e gli squarci noise di Misunderstood un sogno rock’n’roll ad occhi aperti.
A bilanciare i pezzi più impegnativi arrivano le leggerezze pop di If I Ever Was a Child, Downed On Me, l’immancabile Hummingbird e Love is Everywhere (Beware) in una scaletta ornata anche dalla presenza di una sempre sublime Jesus, (Etc.).
L’omaggio ai grandi del rock’n’roll di The Late Greats introduce al grande finale che è una veloce cavalcata a briglia sciolta: Downed on Me, una fantastica A Shot in The Arm , I Got You (At The end of The Century) sfociano in una Outtasite (Outta Mind) che manda tutti a casa con un enorme sorriso stampato in faccia.
La prima serata è stata un trionfo.
(Ringrazio Valeria Di Tano per la collaborazione.)