Né idoli, né megafoni. I Marlene Kuntz al ‘Sans-in’ di Chieri
Lo confesso: ripenso spesso a certe frasi, quasi aforismatiche, di quelle incastonate in canzoni che fanno parte della mia esistenza e del mio spirito. Sono parte di me, me le ritrovo spesso in testa come se fossero dei mantra, e non ne potrei fare a meno nemmeno volendolo, alla stregua di braccia o gambe o di altri organi essenziali alla mia autonomia. Ne ho parecchie, probabilmente molte di più di quante una persona comune ne dovrebbe avere, e ricompaiono molto più che saltuariamente a fare da contrappunto a parecchie situazioni di vita quotidiana, quasi come se fossero quei commenti fuori campo dei fumetti o di certi racconti, che non si sa mai se appartengono al pensiero dell’autore, del protagonista o magari di entrambi. Ebbene, uno di queste frasi – forse una delle più frequenti – appartiene al testo di una canzone dei C.S.I., uno dei (non solo, in effetti) miei gruppi culto degli anni ’90: “Non fare di me un idolo, lo brucerò”.
Giovanni Lindo Ferretti la cantava al mondo nel 1994, dai solchi taglienti del primo album del gruppo (esordio\non esordio, visto che la formazione era quasi una riedizione di quella dei CCCP scioltisi qualche tempo prima), il bellissimo Ko de Mondo, e la forza dirompente di certe liriche assumevano ancor più efficacia in quanto pensieri reali, attribuibili per intero alla mente imprevedibile del cantante in questione. Lo stesso anno, vedeva apparire l’intero gruppo ad una puntata di “Acustica”, un ciclo di bellissime trasmissioni ideate da Videomusic (quanto ci mancano canali tematici come quelli!, ndr) sulla falsa riga di quelle “Unplugged” che MTV (sic!) aveva creato ben al di là delle Alpi.
Ad ogni modo, la loro comparsa non fu un semplice lancio del disco appena uscito, o per lo meno non solo. Rappresentò infatti un trampolino anche per una giovanissima e sconosciuta band rock di Cuneo, che da qualche anno stava tentando di far conoscere la propria – peraltro già ottima – musica al Paese uscendo dai confini provinciali che , fino ad allora, li aveva accolti materni: la band erano chiaramente i Marlene Kuntz, e Cristiano Godano – cantante, chitarra solista e autore del gruppo – ne ha raccontato benissimo l’antefatto nella sua biografia, “Nuotando nell’aria”, uscita ormai tre anni fa.
Per farla breve, Giovanni e i suoi C.S.I. decidono di suonare “Lieve” in acustico davanti a milioni di telespettatori trepidanti, un giovane più che ventunenne ragazzo torinese in procinto di partire per la naja ascolta il brano, se ne innamora, rintraccia (come poi faranno migliaia di altri ragazzi come lui, una volta terminata la trasmissione) Catartica, l’album che i cinque (ai tempi) sconosciuti cuneesi in questione hanno da qualche settimana lanciato, e il più è fatto: è lì che inizia una storia d’amore che dura, ormai, da quasi trent’anni. Buona parte dei quali passati davvero a vederli come degli idoli, dei “megafoni” (per dirla alla Lindo Ferretti) emozionali che danno voce ai miei pensieri e desideri più reconditi, cupi, o taciuti.
E’ strano, ma durante il bellissimo e ‘sentito’ concerto di sabato scorso – suonato con la solita capacità di evitare sbavature, inconsistenza ma invero con poca attitudine a istituire una ‘liaison’ con il pubblico presente – non ho fatto altro che pensare a quella frase lì, scritta per un pubblico e una situazione – soprattutto storica, e anche esistenziale – diversi, ma che si adattava benissimo alle mie ormai mature aspettative.
Nel corso degli ultimi anni, le mia strada si è incrociata alcune volte – concretamente e direttamente – con quella dei Marleni, e ognuna di queste occasioni ha fatto in modo che quei “idoli megafonici”, che per anni hanno rappresentato per me ben più che un gruppo rock, trasbordassero verso le ben più miti rive del mare dell’umanità comunemente riconosciuta.
Bè, non che questo sia un male, e nemmeno si può sostenere che li abbia fatti diventare per me musicalmente meno attrattivi rispetto agli anni passati.
La set list del concerto in questione – organizzato dal Comune di Chieri (a proposito, un plauso va al giovane Sindaco Alessandro Sicchiero per l’organizzazione per certi versi ‘paesana’ ma ad ogni modo precisa e priva di sbavature, ndr) e posto all’interno della manifestazione “Sans-In” nella ‘venue’ intima ed accogliente della ex area Tabasso – la dice lunga sull’impegno e la voglia dei cinque maturi (d’età, ma non certo in quanto a spirito) rockers made in ‘Granda’, e sulla passione con la quale devono aver preparato l’apparizione davanti ad un pubblico per lo più attento e guarnito di fan: nei sedici pezzi proposti ci sono tutti i brani più famosi del gruppo, ma anche alcune perle come “Uno” – dal ricercatissimo e denso di lirismo album omonimo, non apprezzatissimo dalla loro fan base a dispetto di una musicalità e di alte referenze testuali non facili da rintracciare in altri gruppi – oppure “L’uscita di scena”, tratto invece dall’album Senza Peso del 2003, il quinto del gruppo.
E se da un lato quella ‘indifferenza’ tanto anelata e ricercata nella canzone in questione (Quel che piacerebbe a me / è una specie di neutralità / a passione zero. Quel che piacerebbe a me / è un’indifferenza orribile… più o meno.) non appartiene quasi mai al mood dei Marleni quando appaiono sulle scene e suonano, è quasi sempre difficile rintracciare una vera empatia, un vero e intimo legame con il pubblico di fronte a loro, rispetto ad altri momenti live del passato.
Sarà di certo la calura di questa estate da effetto serra, che forse offre l’unica sbavatura emozionale del consesso: e d’altra parte, nemmeno i Marlene nascondono gli effetti di questo caldo aberrante. Tant’è vero che sul palco c’è anche il tempo di dare spazio a due coraggiosissime e preparate ragazze del Movimento “Fridays for future Italia” – quello fondato circa anni fa dalla tenacissima Greta Thunberg – che declinano a gran voce e con competente acrimonia quel cambiamento climatico che ormai è sotto gli occhi di tutti noi. Circa cinque minuti in cui i musicisti si mettono in disparte e accompagnano le voci delle due rappresentanti con un cappello sonoro da film.
Iniziativa lodevole, almeno tanto quanto il loro nuovo progetto musicale Karma Clima che, oltre a rappresentare il titolo del loro nuovo e undicesimo album, è un progetto di “esperienze di scoperta e interazione con il territorio, e di confronto con le imprese e gli artisti di comunità, all’interno di un percorso reso ancora più stimolante dalla partecipazione di istituzioni come – per citarne alcune – la Fondazione Fitzcarraldo, il Museo del Cinema, il Politecnico di Torino, le amministrazioni locali, Unioncamere e le cooperative di comunità, di cui Viso a Viso è capofila, insieme ai tanti visitatori che si stanno affacciando con curiosità a questo laboratorio aperto, la Music Factory Karma Clima appunto”, come qualche mese fa sosteneva Luca Saporiti (in arte Luca Lagash, bassista e performer artistico) nell’intervista concessa a Claudia Giraud sulle pagine di ArtTribune.
Non sono solito citare le parole raccolte dalla penna altrui, soprattutto quando riguardano un argomento (musicale, sociale ed ecologico, ndr) da me ritenuto così importante e sentito, ma è da presumere che in queste settimane gli impegni molteplici, il caldo, i preparativi ferventi dell’uscita del nuovo album – che durante il concerto di Chieri, Cristiano dà in uscita per la fine di settembre – abbiano ‘rapito’ alle penne della stampa di settore i cinque musicisti, anche (o forse soprattutto) se le pagine della testata in questione non sono altisonanti o importanti come altri. Un bel neo per un progetto che – sulla carta e nelle loro dichiarazioni passate e presenti – appare importante e molto articolato, e che forse avrebbe meritato molto più spazio anche tra le righe della nostra testata, parlandone approfonditamente in un intervento a sè.
Ma probabilmente è una macchiolina, soprattutto se rapportata alla bella serata chierese di musica, alla forza detonante che hanno ancora adesso le loro liriche e i loro strumenti suonati ‘live’, e all’impegno profuso sempre e comunque quando Riccardo Tesio, Luca Lagash, Davide Arneodo, Sergio Carnevale (bravissimo lui, ma quanto ci manca Luca Bergia? Ndr) e Cristiano Godano salgono su qualsiasi trespolo che possa anche solo avere la parvenza di un palco. E d’altra parte, appaiono subito evidenti la forza testuale e la stupenda costruzione sonora del nuovo singolo “La Fuga”, che i cinque sodali offrono alla platea, così come piace già al primissimo ascolto “L’anima era l’aria”, il melodico e a tratti recitato inedito estratto dal prossimo lavoro del gruppo, che contiene al suo interno una “visione” molto probabile di un futuro a cui “se le cose continuano così approderemo nei prossimi anni”, così come dice lo stesso cantante prima di attaccare con i primi accordi.
Concerto che si chiude, manco a dirlo, con le immancabili note di Sonica (chi tra i presenti non ha urlato il testo, mente oppure non è un vero fan!): la buona musica mette tutti d’accordo, nessuno escluso. Nemmeno il sottoscritto, ovviamente: a cui – mentre esce dalla sua probabilmente tredicesima apparizione ad un concerto dei Marleni – risuonano in mente certe frasi, incastonate in canzoni che fanno parte della sua esistenza e del suo spirito. Frasi come quelle de “Il Genio”. E certo, anche un po’ quelle di “A tratti”.
Immancabili, verissime, fraintendibili certo: ma d’altra parte, quale essere umano pensante, scrivente e parlante non lo è?