Colin Stetson, Saba Saba, Moor Mother – Anteprime JID2022
Colin Stetson – Cinema Massimo – 03/05/2022 .
Spetta al grande musicista di Ann Arbour l’onore di aprire ufficialmente il Jazz Is Dead festival 2022 – Mutazione con la prima di due gustose anteprime che anticipano il fitto programma previsto a fine maggio.
Le premesse per l’ottima riuscita del festival ci sono tutte: mercoledì sera il Cinema Massimo ha fatto registrare il sold-out e anche alla serata con i Saba Saba e Moor Mother al Bunker il pubblico era già quello delle grandi occasioni.
Nell’indice dei nomi del bellissimo libro di Harry Sword “Alla Ricerca dell’Oblio Sonoro” a sorpresa non compare il nome di Colin Stetson. E dire che se c’è qualcuno al mondo in grado di materializzare fisicamente un drone con la sola potenza della respirazione è proprio lui.
Un microfono posizionato sulla gola, uno sul diaframma e l’altro, o gli altri, sui suoi strumenti a fiato. Tutto ciò che si ascolta è generato unicamente da lui, compreso il tessuto ritmico: nessuna manipolazione dei suoni, nessun loop, nessun campionamento, tutto ciò che si ascolta sono suoni naturali emessi con l’ausilio di una preparazione tecnica strabiliante accompagnata da altrettanta prestanza fisica. Una prestazione superlativa per un’ora e un quarto di concerto con brani selezionati tra gli album pubblicati in carriera. Colin Stetson è anche autore di colonne sonore, tra queste “The Texas Chainsaw Massacre”,” “Hereditary”, “Color Out of Space”, “Among the Stars” e per omaggiarne l’attività il Museo del Cinema ha affidato la responsabilità dell’abbinamento tra immagini e suono alla VJ torinese Nadia Zanellato.
Il risultato è stato strepitoso e lo spettatore condotto in un avventuroso viaggio psichedelico, talvolta surreale, spesso tortuoso e claustrofobico, ma sempre intrigante e colmo di fascino.
Colin Stetson è in grado di creare interi universi sonori con un solo strumento e quando utilizza quel gigantesco sax basso le frequenze arrivano a un numero davvero piccolo di Hertz, una lunghezza d’onda tanto ampia da far vibrare pareti, poltrone e stomaci come se sul palco ci fossero i Sunn O))) e non un uomo armato di uno strumento a fiato.
Su questi bordoni si innestano magicamente armonie fantasiose e ritmi ostinati in un crescendo irreale e stupefacente. Si crea un flusso ininterrotto e ipnotico di suoni e deflagrazioni che devono tanto al jazz quanto al noise, all’ambient e all’industrial.
Sullo schermo luci incorporee, colori scuri, rossi intensi; ad accompagnare l’iniziale “Spindrift” le immagini prelevate da “Texas Chainsaw” (David Blue Garcia, 2022), film forse minore ma con una fotografia magnifica. Le riprese dal basso di una piantagione di girasoli rinsecchiti e i fasci luminosi di una torcia che ne sciabola attraverso, il sax disegna fraseggi su uno sfondo di note tenute lunghe. L’orrore non è mai mostrato ma sottilmente suggerito ed evocato da un montaggio che fa del “detto e non detto” il suo punto di forza.
Le pale di un mulino a vento nel deserto texano, neri profondi, Lovecraft, i Suicide. Fronde di alberi che vibrano sovrapposte a un mare placido. Grigi, luci che filtrano attraverso soglie da non varcare, una scala che sale verso una finestra chiusa, Faith.
“Between Water and Wind”, almeno per chi scrive, è stato il vertice della serata. Inizia con il clarinetto contrabbasso che sembra una chitarra elettrica in feedback, poi entrano dei suoni pulsanti e altri che sembrano emessi da qualche bizzarra creatura degli abissi, si materializza un ritmo incalzante generato dai tasti e mantenuto costante per il resto del brano come se sul palco ci fossero Adrian Belew e gli Autechre. Una prova superlativa che lascia a bocca aperta.
Tanto di cappello anche a Nadia per la selezione e la manipolazione delle immagini eseguita con grande sensibilità e professionalità, e che sia uno Stetson!
La chiusura è affidata all’inedita “Strike Your Forge and Grin” giocata su ululati, note tenute lunghe e il pulsare ostinato dei bassi: le luci vettoriali su uno sfondo nero come la pece richiamano due parole: la prima è Interstellar, Overdrive la seconda.
Una prestazione tecnica incredibile e fisicamente estenuante.
A restare senza fiato, però, è stato il pubblico.
Bunker 07/05/2022
La seconda anteprima era programmata per sabato 7 maggio al Bunker, il locale multi-funzionale di via Paganini a Torino, che sarà anche la location delle tre giornate del Festival. Una scelta perfetta.
Ad aprire la serata ci sono i Saba Saba in formazione a tre, ad Andrea Marini e Gabriele Maggiorotto si è aggiunta Maria Valentina Chirico al mellotron. Autori di un avant-jazz oscuro e psichedelico dalle fondamenta appoggiate su imponenti impalcature industrial e profondi echi dub.
I Saba Saba hanno proposto un set a un volume a tratti insostenibile, molto introspettivo e dal grande impatto emotivo, dai forti richiami ad antichi riti ancestrali e alle distopiche atmosfere lynchiane.
Tra le pieghe di un suono avvolgente e vibrante, dalle tinte fosche e ultra-dark, emergono spirali discendenti e gelidi paesaggi berlinesi.
Bravi!
Da un’artista poliedrica come Moor Mother ci si poteva aspettare qualsiasi tipo di performance, tante sono le declinazioni del suo approccio alla musica. Agitatrice impegnata socialmente, rapper, fotografa, poetessa, maestra della contaminazione in ambito jazz, ha pubblicato recentemente per ANTI “Black Encyclopedia of the Air”, un album dall’approccio un po’ meno sperimentale rispetto alla precedente produzione. Non che sia di immediata assimilazione, le trame jazz-noise sono ancora presenti, ma una produzione più accurata che vira verso soluzioni meno aggressive accentua maggiormente alcuni passaggi dal grande lirismo.
Per la serata torinese Camae Ayewa ha scelto un approccio piuttosto rilassato, lasciando ampio spazio a un lunghissimo flusso spoken che non ha mai avuto soluzione di continuità.
Aiutata dal polistrumentista di origine senegalese Dudù Kouate da tempo residente in Italia, le declamazioni dell’artista di Philadelphia sono state enunciate su cangianti basi hip-hop generate da laptop e altri arnesi elettronici davanti ai quali è rimasta seduta per lunghi tratti del concerto, alzandosi al crescere dell’intensità.
Si è ascoltato un lungo e oscuro flusso di un magmatico jazz trasfigurato da frequenti improvvisazioni e divagazioni afro-futuriste molto, molto personali. La componente africana è stata aggiunta Dudù Kouate, preziosa anche la sua presenza scenica, che si è dedicato agli arrangiamenti destreggiandosi abilmente tra una miriade di percussioni, fischietti di ogni tipo e un flauto, modificando spesso le dinamiche di un concerto che non ci si attendeva così rilassato.
Sono gli ultimi cinque minuti della performance che rimarranno stampati nella memoria, quando Moor Mother rompe finalmente gli indugi e si fionda in un furioso rap su una violentissima base al limite del punk-noise, scagliandosi contro le transenne e coinvolgendo gli spettatori in prima fila.
Fighissima, ma proprio tanto.
A chiusura della serata ben tre DJ Set: si sono avvicendati alla console Stefania Vos, DOPS e Sense Fracture.
http://www.jazzisdeadfestival.it/