Jethro Tull al Colosseo – Living in the Past
Il tour “The Prog Years” dei Jethro Tull rimandato più volte a causa dei motivi ampiamente conosciuti, è approdato anche in Italia. Organizzazione perfetta quella del Teatro Colosseo di Torino, molto snello il controllo di Green Pass e mascherine rinforzate, che ha permesso a un pubblico molto ordinato la fruizione dell’evento in totale sicurezza.
Bisogna riconoscere a Ian Anderson una grande qualità: l’abnegazione. Tenere in piedi ad ogni costo la creatura Jethro Tull, ormai un moniker a tutti gli effetti, nonostante l’età che avanza e la malattia polmonare che lo affligge, è dimostrazione di forte volontà e grande passione per il proprio mestiere. “Sono alla fine della mia vita come cantante, ma non come essere umano” dichiarò ai media un paio d’anni fa, e purtroppo è vero: mercoledì 9 febbraio la voce ha retto per circa metà del concerto per poi andarsene progressivamente lungo la seconda parte, e quando è arrivato il momento di affrontare grandi classici come “Aqualung” e “Locomotive Breath” malinconicamente non c’era davvero più.
Nulla da dire sui musicisti coinvolti: il giovane Joe Parrish alla chitarra elettrica, David Goodier al basso, John O’Hara dietro alle tastiere e Scott Hammond (batteria e percussioni) hanno accompagnato con professionalità e dedizione il leader, che di par suo ha mostrato una un’invidiabile agilità al punto di sfoggiare la famosa posa suonando con la solita maestria il flauto stando su una gamba sola, e muoversi come un leone per tutta la durata del concerto. Leone che a un certo punto s’incazza di brutto con alcuni spettatori intenti a riprendere il concerto coi cellulari. L’intervento al microfono di un addetto alla sala riporta la situazione alla normalità.
Nulla da dire sulla qualità del suono, potente e preciso, ma i nuovi arrangiamenti pensati in una chiave hard-rock eccessivamente pulita hanno in parte compromesso l’antica magia di alcuni brani soffocandone l’originale matrice hard-blues-folk.
Sembra accorgersene anche il pubblico che per lunghi tratti del concerto non è apparso particolarmente coinvolto.
A mio modo di sentire ho gradito, in una scaletta di certo apprezzata dagli appassionati dei Tull e del Prog in generale, l’iniziale “Nothing is Easy”, le versioni di “Bourrèe” e la “Songs From the Woods” cantata in sincrono con un “visual” tratto da un concerto degli anni settanta, “My God”, le notevoli partiture spagnoleggianti di “Pavane in F-Sharp Minor” e, nonostante i problemi di voce, “Locomotive Breath”.
In misura minore “Aqualung” e i brani tratti da “The Broadsword and the Beast”, da “A” e quel estratto dall’album appena uscito. Non me ne vogliano i fans più accaniti.
Questa la scaletta del concerto:
Set 1:
- Nothing is Easy
- Love Story
- Thick as a Brick (parziale)
- Living in the Past
- Hunt by Numbers
- Bourrèe in E Minor
- Black Sunday
- My God
Set 2:
9. Clasp
10. Wicked Windows
11. The Zealot Game
12. Pavane e F-Sharp Minor
13. Songs From the Woods
14. Aqualung
ENCORE:
15. Locomotive Breath
16. The Dambusters March