Omaggio a Ezio Bosso con il Quartetto ZerØ
“Forse la mia particolarità è quella di lottare.
Lotto ogni giorno affinché la musica sia patrimonio collettivo e non soltanto di pochi”.
Le mille e una vita di Ezio Bosso nel freddo e nel caldo che “gli strumenti ci tocca accordare”, sabato 13 novembre risuonano con il Quartetto ZerØ tra le volte di uno dei luoghi del cuore che imperterriti noi continuiamo a chiamare Maison Musique e che adesso porta il nome di Circolo della Musica.
L’ex mattatoio di Rivoli per una decina d’anni è stato il “fuoriporta” del Folk Club, il paradiso degli studiosi di tradizioni orali, il mondo fantastico del Musicarium di aggeggi impossibili fatti per suonare e raccolti dall’indimenticabile Franco Lucà. Ha riaperto dopo un lungo stop nel 2019 ed ora si riempie dei violini di Giacomo Agazzini (di Bosso complice in tanti frangenti) e Roberta Bua, la viola di Giorgia Lenzo e il violoncello di Claudia Ravetto. Uno scivolar sulle corde per rileggere i pentagrammi del Maestro diventato in breve un viaggio mistico e privilegiato per 120 viandanti (roba da overbooking in questi tempi marrani) verso uno sconosciuto altrove.
Una Bagna Caoda di note, toni e semitoni dalle Quattordici danze per bambini intorno a un buco della soundtrack di Io Non Ho Paura, compreso l’arrangiamento “bossiano” de l’Andante dal concerto in si♭M di Antonio Vivaldi.
A ruota segue il gioiello di Emily Dickinson Who Cares About The Bluebird Sing, tributo ad una poetessa da troppi citata e da pochi capita. Indossare la pelle degli altri è una delle magie della musica di Bosso: come Bluebird, una cinciallegra, canta la sua gioia a nessuno, così l’artista compone prima di tutto per sé stesso. Xico, lo scapigliato bassista degli Statuto, sta lì e se la ride, specie di satanello dispettoso a cui piazzeresti volentieri sopra basso, chitarra e batteria, così tanto per ricreare l’effetto Concerto Grosso per i New Trolls (che fa giusto 50 anni e una citazione la merita tutta).
Tra un brano e l’altro Agazzini, poi, regala il racconto di un’intimità preziosa, di concerti, registrazioni, di una casa di Monchiero con i quadri del pittore farmacista Pinot Gallizio e dell’amore di Anna Maria ed Ezio (che di Gallizio è anche la nipote).
Infinito Ezio, ancor più da quando un anno e mezzo fa si è fatto luce nella luce. Senza più gravità come quel Gagarin che “era un mio mito da bambino, avevo anche le sue figurine”. Il Gagarin di The Way of 1000 and One Comet, suite lunghissima che alla fine sembra durare un soffio.
Si resta sospesi, come quando due estati fa la sua bacchetta guidava i Carmina Burana di Orff e l’Arena di Verona spariva attorno a me, a Pierangela, a Stefano e a uno stuolo di pellegrini partiti per un’esperienza extrasensoriale. Pietra calda e millenaria sotto di noi, il cielo stellato sopra di noi e sul palco una carrozzina impazzita di gioia che schizzava da tutte le parti.
Si chiude con Music for The Lodger, la sonorizzazione del lungometraggio muto di Alfred Hitchcock (datato 1927) commissionata quindici anni fa dal Museo Nazionale del Cinema. Prima di Orson Welles, prima di Quarto Potere, 16mm di denuncia del “potere che ha la stampa nel condizionare l’opinione pubblica”.
La bellezza mette sete, ci vuole ancora bellezza, ecco il bis di The Arrival, ancora da The Lodger, e poi cerchi lo sguardo degli altri. Specchi siamo specchi e l’emozione si fa boato. Applausi per Ezio, per i “suoi” musici, per la rassegna Scene che li ha ospitati, per lo staff di Rivolimusica e di Filippo Bulfamante, successore di Andrea Maggiora nella direzione artistica della rassegna. Nel mare (e nel male) del banale e del precotto, riescono ad arrivare al centro del torace e della calotta cranica. Cuore e cervello, la musica non è figlia minore di un format televisivo. Il lavoro di tutto il gruppo organizzatore sta lì a dire che la cultura si fa con fatica, impegno, dedizione e poi anche, giustamente, promozione e tanti saluti alle fucine dei non talenti.
Una serata da chiudere brindando insieme, ad Ezio, svuotando calici colmi di vermut.