ROCK ‘N’ RODDINO 2021
“Che lo facciamo un rockenrollino?”.
È l’una di notte, già il 25 luglio (78 anni fa la fine del fascismo istituzionale), son quasi quattro ore che Gang e Paolo Bonfanti infiammano il palco. 300 culi si alzan da sedie e gradini per mettersi a ballare. Donne, uomini e bambini di festa e di lotta, questo è il popolo di Roddino.
Su in collina, anche quest’anno perché Roddino è come la riva del fiume, come il fuoco attorno al quale tribù stanche possono fermarsi e raccontar storie. Quelle dopo “La Lotta Continua“, il pezzo di chiusura, poi possono arrivare tranquillamente a mattina, c’è tanto da dirsi.
Due giorni di rock, venerdì 23 e sabato 24 luglio, all’interno di un programma che va dalla fiera del tartufo alla comicità di Paolo Migone. “Mataria ‘d Langa” compie 30 anni, la scalinata e la chiesa sono come sempre custodi di una festa tra le colline che, scriveva Pavese, “siamo nati per girovagare”. Quasi, perché in realtà qualche volta si è suonato al campo sportivo.
Voci e strumenti si affilano già dal venerdì, con Gigi Giancursi attraversiamo tutti i nervi del corpo e andiamo là dove si spalancano finestre vista mare: quello della vita. Quella di Gigi, di vita, è sicuramente segnata dal coraggio, scendere dal lanciatissimo treno dei Perturbazione (7 anni fa) non deve essere stato facile.
“Noi siamo il cielo stellato, la legge morale e il codice fiscale” basterebbe questa frase da Modello Unico, brano di apertura, per capire quanta urgenza comunicativa ci sia dietro il gigante che si prende palco e pubblico armato solo della propria chitarra. Parecchi lo scopriranno stasera, nella sacra rappresentazione del concerto, come succedeva un tempo prima che il mondo si isolasse dietro uno schermo.
La pandemia non ha fatto che spingere l’individualismo a conseguenze estreme ma le insegne di quanti club hanno cessato di violar la notte già 10, 15, 20 anni fa? Questo festival ha resistito anche in questo mantenendo viva la tradizione di far scoprire (o riscoprire) i talenti per come suonano sul palco. E uno che di club e centri sociali ne ha girati davvero tanti è Cristiano Godano. Lontano dai Marlene Kuntz, in una vena cantautoriale insolita e accompagnato da una virtuosa e fino a ieri sconosciuta chitarrista: Roberta Finocchiaro.
“Mi Ero Perso il Cuore” è un disco intimo e personale, non basta un ascolto per accoglierlo. Cristiano e Roberta lo propongono in un doppio set, prima acustico e poi elettrico, con cover di Dylan, Coen e, naturalmente, Nick Cave più le marleniche “Festa Mesta” (favolosa in electric guitar solo di Godano) e “Nuotando nell’Aria“.
“Ti voglio dire puoi contare su di me
Ho attraversato le stesse valli misere
È così triste farlo in solitudine
Quando infuria il tempo è terribile”
Spiace contraddir Guccini (e lo stesso Godano) ma qualche volta a canzoni si finisce con il fare poesia. Di sicuro con le canzoni qualcuno si è salvato la vita o quantomeno ci ha trovato rifugio e sostegno nei momenti più difficili. La musica non ti lascia solo, lo sanno bene quelli che sono qui, lo racconta benissimo Alberto Calandriello nel libro Abbassa Quello Stereo! La domenica pomeriggio è sua e del suo libro, presentato a pochi metri dalle prove di Gang, Paolo Bonfanti e Fratelli Lambretta.
E venne l’ora…della cena, dei bicchieri colmi di vini densi e alzati al cielo, grati di esserci ritrovati ancora una volta a questo rito di purificazione da dolori, delusioni e fatiche. Spiegare il legame tra Roddino, la Gang e il popolo che ogni anno vi ritorna incurante dei kilometri e degli anni che “vanno sotto gli occhi” è complicato. Chi vi è passato almeno una volta sa che è solo un sentimento di grande amore a far sì che un quarto degli abitanti del paese si mobilitino sotto il coordinamento della benemerita Pro Loco per rendere possibile quello che altrove non è nemmeno ipotizzabile.
Il Maestro di cerimonie è un ragazzo del 1970, diventato sindaco sul serio dopo esserlo stato da sempre per tutti quelli che si trovavano a sbarcare in Mataria. Marco Andriano non ama i riflettori, li meriterebbe ma è fatto della materia prima con cui son fatte le Langhe: colline modellate dal vento, dal sole e dalle piogge che il duro lavoro degli uomini hanno reso un paradiso. La mamma di Marco poi si chiama Gemma e con il prefisso “Osteria Da” ha conquistato il mondo e pure la guida Michelin ma questa è un’altra storia della quale si è già scritto tantissimo.
“Sotto un cielo di Ombre Rosse” stiamo ancora cenando quando, poco dopo le 21, sul manico mancino della chitarra di Bonfanti scorrono le prime note della serata. È il richiamo alla notte delle meraviglie, Paolo è uno dei migliori chitarristi del mondo, ha fatto di Genova la propria New Orleans e si presenta con lo spettacolare “Elastic Blues“. Il disco dei sessant’anni, con 40 musicisti e un libro di 80 pagine, se l’è dovuta vedere con la pandemia ma uno scrigno di bellezza in qualsiasi momento uno lo apra continua e continuerà a sprigionare bellezza.
“We’re Still Around” s’intitola il brano nell’album suonato con i suoi storici Big Fat Mama e Paolo ancora in giro ci va con Roberto Bongianino, Nicola Bruno, Alessandro Pelle e questa sera la sezione fiati dei Fratelli Lambretta.
“Il Blues, come l’oro, è duttile e malleabile, come il cervello e la coscienza dovrebbero essere, è elastico”, questo il credo de Il Bonfa che di confini tra generi musicali non vuole proprio sentire parlare. La sua duttilità ha impreziosito i solchi di parecchi dischi e i concerti di molti artisti ma è innegabile che quello con la Gang sia il legame più solido e proficuo.
Prima però tocca a loro: Diego Sapignoli alla batteria, Beppe Bonomo al basso, Gianni Bonanni alle tastiere e alla fisarmonica, Jacopo Ciani al violino, chitarre e corde d’ogni genere e naturalmente Red and Johnny Guitar, i fratelli Marino e Sandro Severini.
Di questi due potremmo scrivere a lungo certi di non ripeterci né di annoiarci, l’intervista di un anno fa è però sufficiente per addentrarsi nel pianeta Imbrecciata, Filottrano e dintorni e farsi un’idea rudimentale dei presupposti dietro i quali si celano quaranta e più anni di palco e rock ‘n’ roll (l’embrione dei Paper’s Gang risale al 1979). Quest’anno c’è un disco nuovo (Sangue e Cenere) sostenuto da un incredibile “colletta popolare” e prodotto dal sacro tocco di Jono Manson ma c’è soprattutto la voglia di cantarsi insieme le nostre storie. Quindi “nella vita c’è chi ha avuto Gesù Cristo, chi Che Guevara, chi San Francesco, a noi ci è toccato Joe lo strimpellatore: a Joe Strummer un grande Bandito Senza Tempo”.
“Un tempo, questo tempo
Con un’arma un po’ speciale
Una Magnum Les Paul
Spara canzoni che fanno male
Ora ha una nuova banda
E un fazzoletto rosso e nero
Quando attacca “I fought the law”
Fa saltare il mondo intero”
Varrebbe la pena scriverla tutta la scaletta di questo concerto, per mostrare cosa la banda dei Fratelli Severini è riuscita a fare sul palco, da sola e in compagnia di Bonfanti e Fratelli Lambretta. 25 canzoni (più o meno che il conto l’abbiam perso tutti praticamente subito) come quadri o storie, così preferirebbe sicuramente Marino, che sono un viaggio nel tempo. La prossima tappa però è sempre il futuro, il domani, il Sol dell’Avvenire, quello che più semplicemente chiamiamo un po’ tutti speranza.
Quella di cui Marino scrive e parla non è però una speranza fine a sé stessa, è la famosa Città Futura. Quella che Gramsci fondava su disciplina e libertà perché “associarsi a un movimento vuol dire assumersi una parte della responsabilità degli avvenimenti che si preparano, diventare di questi avvenimenti stessi gli artefici diretti”.
Chi più della Gang è stato nella società in questi anni? Con Stefano Parolo (and Pierangela & Nadia of course), uno dei tanti Compagni di questa lunga avventura sopra, sotto e intorno ai loro palchi, la mattina successiva ci siamo fermati a fare un giochino. Le Radici e Le Ali e il disco capostipite di un cambiamento epocale, nella musica come nella società italiana, che come il fuoco (non a caso “Ritorno al Fuoco” è il titolo del loro ultimo album) si è diffuso e ha incendiato gli animi a cavallo del 1991 e del 1994. Poi sarebbe arrivata “la ciurma da tribunale” ma in quei tre/quattro anni avrebbero visto la luce le Storie d’Italia dei Severini ma anche Combat Folk e Riportando Tutto a Casa dei Modena City Ramblers, Batti il Tuo Tempo (già nel ’90 in realtà) della Onda Rossa Posse e Terra di Nessuno degli Assalti Frontali, Figli della Stessa Rabbia della Banda Bassotti e perché no Gente come Noi e Contro dei Nomadi. Tutti dischi in un modo o nell’altro fondamentali.
“Oltre la notte ed il buio
Oltre le ombre o ancora più in là
Ti ho trovato spezzato diviso
Caduto in ginocchio che chiedevi pietà
Con un biglietto di sola andata
Un solo pezzo di verità
Come ti avranno rubato
A quella tua voglia di libertà”
Bisogna dirlo che c’è spazio anche per un set acustico? Non manca nulla, tranne quella ventina di canzoni che ognuno di noi avrebbe aggiunto secondo il proprio gusto. È un concerto che passerà alla storia, suonato benissimo: tirato quando è il momento, dolcemente nei momenti delicati. Gli ospiti si integrano perfettamente in una band che ha tanta ma tanta voglia di suonare e lasciarsi definitivamente alle spalle lockdown, chiusure e misere prebende di stato per tutto il tempo che non si poté lavorare.
“È la fabbrica che ruba e ci divora
I nostri anni migliori
Lavorare meno almeno
Se non puoi stare fuori
I sogni di mio padre contadino
Ora alzano le mani
Mio fratello è in galera da dieci anni
Ma tornerà domani”
Il lavoro come dignità, la fabbrica come alienazione, temi centrali nella poetica di Marino Severini e nei racconti stasera lasciati a dire il vero un po’ da parte. Qui, d’altronde, c’è ben poco da convincere, siamo quelli che li han seguiti ed ascoltati nelle località più disperate della penisola. Dopo le note restano gli aneddoti e i ricordi a riempire la notte di Roddino, con Marino, Sandro, Paolo, soci e adepti disordinatamente tra tavoli e abbracci pensando al domani e a un nuovo “assalto al cielo”.
“C’è chi non si arrende
e la vita si riprende,
la vita non si compra,
la vita non si vende”