By The Fire – Thurston Moore (Daydream Library Series)
“By the fire” ossia vicini al fuoco. Quello che nutre, scalda, brucia e distrugge.
Ci sono precisamente un paio di minuti di musica nel secondo brano che sono stati in grado di riaccendere e ravvivare ogni sopita fiamma, sono riusciti a smuovere nelle viscere qualcosa di profondo, istintivo, la ragione per cui ancora oggi riesco a provare emozioni al suono di chitarre distorte. Iniziano a 1.40 quando “Cantaloupe” pare fermarsi a prendere fiato, la batteria inizia a sostenere un crescendo che porta a quell’accordo sospeso e rovente che serve come piattaforma per far sollevare in volo un assolo hard rock di un minuto e mezzo, quasi una bestemmia nella chiesa Sonic Youth di cui Thurston Moore era il celebrante massimo. È un passaggio che mi reca immediato benessere, quasi una forma di serenità. Mi sono pertanto chiesto, restando nella metafora, se non fosse estensibile al buon Moore il classico detto: “nascere incendiari per morire pompieri”.
Sono andato quindi a leggere alcune recensioni del disco intercettando le perplessità espresse dai recensori di fronte ai due brani iniziali di By The Fire: “Hashish” e appunto “Cantaloupe” accusati di essere troppo fedeli al canone sonicyouthiano andando a richiamare troppo da vicino brani anche piuttosto noti della storia dei newyorkesi (“Sunday” e “Sugar Kane” segnatamente), una falsa partenza insomma. Troppo ordinaria.
Pur comprendendo il punto, considerando che l’apporto di Moore era un buon 50 % dei Sonic e che alla batteria siede spesso Steve Shelley è un po’ come sorprendersi che un disco di Pete Townshend possa suonare quasi come un disco degli Who. Se consideriamo la qualità delle suddette composizioni, la loro capacità di suonare fresche alle orecchie e accendere immediatamente le sinapsi, il suono avvolgente e vibrante di chitarre (Moore e Sedwards) e basso (Googe dei My Bloody Valentine), tutto rema solidamente nella giusta direzione. Troppo?
Mettiamola così, Moore ha esplorato talmente tanto in quarant’anni di musica, che probabilmente qualsiasi cosa provi a fare, dalla cacofonia più estrema, all’impiego di ritmi hip hop potrebbe sembrare già sentita. E allora giudicare questo disco non sulla base della sua ricerca di novità bensì sulla base del valore delle composizioni in esso contenute dovrebbe essere la cosa più giusta da fare e in questi termini non si può che considerare By The Fire un album molto ispirato e decisamente riuscito.
Al di là dei brani più “pop” (se mi passate il termine) dal minutaggio più contenuto, Moore si cimenta in ben quattro casi sulla lunga ove non lunghissima distanza (tra i 10 e i 17 minuti) ed in almeno due casi, “Locomotives” e “Venus”, si tratta di autentiche esplorazioni cosmiche tra noise, kraut e space rock in cui lasciarsi fluttuare senza mai annoiarsi.
L’accurata naturalezza nei passaggi dai momenti più sperimentali a quelli più tradizionalmente rock, ad esempio in conclusione di “Locomotives”, è evidente frutto di una conoscenza e padronanza completa del proprio territorio sonoro, caratteristica che forse per alcuni può essere indice di eccessivo calcolo, ma come potrebbe essere diversamente quando sei stato letteralmente tra i creatori della materia che stai manipolando?
By The Fire passa agevolmente dall’elegia degli arpeggiati, all’affondo hard rock, ai tribalismi ritmici, alle rasoiate soniche, ai momenti quasi indie pop, ai viaggi interstellari mantenendo sempre una matrice indiscutibilmente figlia del suo autore, e immediatamente riportabile all’universo SY.
Sarebbe innegabilmente bello rivedere insieme il quartetto più audace del rock americano, anche perché è quasi inevitabile rimettere insieme nella nostra testa i frammenti delle opere separate di Gordon, Moore e Ranaldo in una sorta di pastiche vagheggiato e desiderato che ci riporti indietro la casa madre. Ma non è, comprensibilmente, possibile. E allora non resta che accontentarsi, ma in questo caso è davvero un bell’accontentarsi, uno splendido accontentarsi.