Any Other + Low Standard,High Fives!: cronaca di una serata di musica gourmet!
Ripartire si doveva. O, in ogni caso, si voleva. Il che, se hai alle tue spalle una storia come quella del Circolo della Musica, del festival Todays, e di decine di altre manifestazioni e organizzazioni musicali che – sul territorio di Torino e provincia – hanno più o meno fatto la storia della musica rock nel regno di Sabaudia, finisce per coincidere e significare la medesima cosa. E’ una questione di necessità, di suono, musica, movimento e vita: ma di certo è anche una questione “di qualità” – come cantavano i CCCP circa 34 anni fa, anche se in un contesto diametralmente opposto – che si lega alla fortissima voglia di portare buona musica in un contesto prezioso come quello del Circolo. Il primo concerto della nuova stagione è come il primissimo boccone degli aperitivi di una cena di gran gala: deve cioè preparare un palato potenzialmente “a secco” da un bel po’ di ore, e probabilmente non più tanto avvezzo a gustare piatti di un certo tenore. E venerdì sera, in effetti, di poca abitudine e di fame “buona” ce n’era parecchia: al netto di un distanziamento sociale garantito e certificato dalla buona gestione del ‘Team Gozzi’, la sala – anticamente adibita a mattatoio comunale e, successivamente, a fabbrica del ghiaccio – ha registrato il tutto esaurito: sintomo di una voglia estrema dei musicofili piemontesi di riappropriarsi degli spazi musicali a loro più consoni, nell’attesa di ascolti per orecchie magari sì parzialmente arrugginite, ma di certo mai irrimediabilmente bloccate. Primo “piatto” servito sul palco ligneo del Circolo è quello dei “Low Standars, High Fives!”, quintetto indie autoctono orbitante nel pianeta rock.
“Siamo contenti, siamo emozionati, siamo i “Low Standars, High Fives!”: dal palco, il gruppo torinese, esprime in questo modo l’entusiasmo di tutti noi per il ritorno ad una realtà live che, per molti mesi ci è para solo un miraggio (nonostante l’obbligo di assistere al live da seduti smorzi qualsiasi esuberanza, ma sono le nuove regole, e ad esse ci atteniamo).
Ci troviamo in una location d’eccezione, quel Circolo della Musica che, in un paio d’anni, ci ha già riservato parecchie soddisfazioni a livello di programmazione e ospiti. Nell’entrare e prendere posto il clima è strano, quasi sospeso, lo vedo anche dai volti degli altri attorno a me: siamo ancora increduli, quasi intimiditi, fino a che, finalmente, non parte la magia della musica.
I Low Standars, High Fives!, in realtà, infiammano i palchi torinesi già dal 2013, ed è evidente che sanno bene quel che fanno fin dal primo pezzo, “Slow dancers in a rush hour”, un brano carico di atmosfera, fin dalla lunga intro strumentale, così come sono densi di significato ed emotività musicale i purtroppo pochi brani che seguono: “Guts”, la mia preferita: “Teens in a fireroom”, “Bite me”, “The things we won’t say too loud”, per giungere alla conclusiva e ipnotica “Distance by connection”.
I suoni della band stanno tra l’emocore anni ’90 e il noise rock, anche se il quintetto torinese non ha nessuna intenzione di farsi incasellare rigidamente in un genere, ma si tiene aperte diverse strada, tutte percorribili, date le indiscutibili doti di ogni singolo membro della band, doti che si amalgamano perfettamente tra loro, creando un suono personale, dando vita a pezzi senza fronzoli, diretti ed emozionanti.
Un gruppo da rivedere in un live proprio, così da poterne apprezzare le capacità e godere appieno dell’emozione che i loro brani non mancano di suscitare.
(Loretta Briscione)
Giusto il tempo di una boccata d’aria, e qualche commento con amici con i quali ti eri dato il gancio, e altri che non ti aspettavi, e si torna a “tavola”. D’altra parte, se l’appetito in alcuni casi viene mangiando, la fame di musica è davvero impossibile sfamarla completamente. E questo, anche se il piatto forte della serata è una talentuosa autrice e chitarrista d’origine veronese ma trapiantata a Milano. E “talentuosa” è un termine che qui può stare solo per difetto, laddove sbalorditiva potrebbe essere quello più calzante. Perché, nonostante salga sul palco con il piglio affatto sbruffonesco dei suoi verdissimi 26 anni, fin dalla prima nota ti cattura con quella voce che riempie la sala senza inondarla, ma quasi fosse fatta di quei sassolini piccoli e smerigliati che in certe spiagge dalle coste rocciose ti si infilano, andando a colmare ogni interstizio, ogni piccolo spazio vuoto. E’ capace di “abbracciarti” così senza nemmeno fartelo un po’ presagire: Any Other – che al secolo porta il nome di Adele Nigro – mette in fila una dopo l’altra quasi tutte le canzoni contenute nel suo secondo eccellente album.
Lavoro che, dal suo soffusamente ironico e introspettivo modo di essere, ha chiamato per l’appunto “Two, Geography”: una geografia fatta di spirito, investigazione del sé, navigazione del proprio essere e dei propri sentimenti. Capace di colpirti con questa dicotomia di personalità, che passa da quell’ironico e silenzioso modo di gestire il pubblico – che a fine concerto la porta a dire “questo è l’ultimo brano della serata e non farò bis…perché non farò bis” – a quella veemente (ma mai prepotente) personalità musicale, fatta di stile e capacità vocale, e di ricercato bilanciamento tra suoni decisi e silenzi musicali. Capace di scrivere musica costruendola su suoni testi e arrangiamenti mai banali e tutt’altro che piatti, nelle sue canzoni traspare di certo quel suo impegno sociale rivolto contro le discriminazioni di genere, un certo femminismo sempre un po’ presente, che fa della sua musica un attento e moderno sguardo sulle dinamiche muliebri contemporanee.
E’ piaciuta molto al pubblico della serata, tanto che si è avuta in certi momenti una percezione fisica della presenza di una dinamica fascinativa tra lei e gli spettatori, tale che in più di un caso la fine dei brani non combaciava immediatamente con l’inizio degli applausi, ma con un brevissimi silenzi che parevano eterni, a suggellare un senso di rapimento totalizzante. Nel mezzo della performance – in cui, come si diceva, ha eseguito praticamente tutti i brani del suo ultimo album datato 2018 – ci ha anche deliziati con due cover entrambe contenute in un EP uscito in giugno, dal nome “Four Covers”, tra cui “Lost Cause” di Beck.
Con tutto questo, Adele Nigro ci ha dimostrato come si possa confermare di essere davvero “delle musiciste più talentuose e determinate che ci siano in Italia oggi” (così come scritto dalla rivista Vice, e come confermato anche da parecchi altri critici) senza dover per forza essere una persona che si sovraespone, che si snatura. E’ un’artista la cui musica è sempre messa al primo posto, ma la cui anima melodica non si appiattisce ai canoni di una ricerca dello star system che, troppo spesso, deteriora i musicisti più giovani e il loro modo di ‘arrivare’ al pubblico. Mi sento davvero di consigliarvela. Se passa dalle vostre parti, andate ad ascoltare Any Other: la sua ‘geografia’ è davvero un piacere che travalica i confini dell’essere.