Ginevra, note d’amore per Lucho
“Frullano, entrano, affondano”. I rondoni del Pascoli non sono diversi da quelli della vecchia caserma Musso, il controcanto regalato all’Irata di un acustico e ispiratissimo Massimo Zamboni sono la ciliegiona della torta per il compleanno (un po’ anticipato a dirla tutta) della meravigliosa Ginevra Di Marco nella serata del ritorno alla musica dal vivo.
La premiata ditta a conduzione famigliare Di Marco & Magnelli più Andreino Salvadori non ha sprecato i giorni duri del lockdown ed arriva all’estate con in tasca un disco nuovo nuovo in cui rilegge sapientemente Luigi Tenco. E’ un altro il vento però che porta a Saluzzo 380 “congiunti differenti” (trecentoottanta con le attuali restrizioni sono una cifra di spettatori decisamente considerevole), quello del poeta e romanziere cileno Luis Sepúlveda. C’è la vita e l’arte di “Lucho” da celebrare e chi meglio dello storico compagno del viaggio nei CSI poteva accompagnarli?
Tre gli assi portanti della scaletta. Letture e aneddoti di “Lucho e noi”, come da titolo ufficiale dello spettacolo anteprima del Festival Occit’Amo. I brani della “Nueva Canción Chilena” che tre anni fa entrarono nell’imprescindibile “ La Rubia canta la Negra”, dove con la scusa di omaggiare Mercedes Sosa, la Cantora del Pueblo, trovavano nuova vita alcuni dei capolavori di Violeta Parra, Facundo Cabral, Victor Jara e “ça va sans dire” quella Todo Cambia scritta da Julio Numhauser che “la Negra” trasformò nell’inno alla riscossa degli sfruttati. Terzo, e non poteva essere diversamente, la reinterpretazione dell’immenso patrimonio discografico di CCCP – Fedeli alla Linea e Consorzio Suonatori Indipendenti.
Lei sola, all’inizio, a dare corpo e parola all’emozione, di colpo ogni distanza scompare. Quello della Gingia è un abbraccio vero, quasi carnale, qualcosa che i live a distanza che hanno intasato la rete in questi mesi raramente hanno saputo trasferire.
9 letture, 18 canzoni e più di due ore di equilibrio fra parola e silenzio, mentre le note si distendono tra i tasti bianchi e neri del Magnuz e le corde ora sfiorate e ora ritorte da Andreino Salvadori. Grazia e potenza di questo elfo capelluto (questa sera addobbato con tanto di barba da guerrigliero cubano) si dividono tra i progetti dei fiorentini e quelli della Compagnia della Fortezza, il teatro del carcere di Volterra.
E’ la notte della rinascita, quella degli amici ritrovati, degli abbracci quasi clandestini, fuori dalle regole ma forse finalmente quasi fuori dalla paura. E’ una notte di festa e chi meglio di Francesco Magnelli potrebbe celebrarla? Compositore, arrangiatore, pianista e persino inventore. Suoi i mitici “magnellophoni” che hanno traghettato il sound della New Wave al terzo millennio creando un filo rosso tra storie i cui nomi fanno ancora tremare i polsi a chi ha avuto la fortuna di viverle in tempo reale: Litfiba, Diaframma, Moda (quelli senza accento per carità), CCCP, CSI, PGR, Beau Geste fino alla rinascita di Cisco come solista dopo la lunga avventura dei MCR. Francesco prima di tutto è però un uomo coraggioso che, insieme a Ginevra, ha saputo non accontentarsi e andare sempre alla ricerca di un altrove, qualche volta anche piuttosto distante da quanto era stato fino a un minuto prima.
Targhe Tenco, premi Ciampi, riconoscimenti al Mei e un amore totale del pubblico sono lì a dimostrare che i due hanno quasi sempre avuto ragione. La voce versatile e la presenza scenica di Ginevra sono un punto di partenza non indifferente è vero ma se Sepúlveda ha scelto proprio la loro musica come colonna sonora di molti viaggi “alla fine del mondo” deve esserci per forza qualcosa di più. Quel qualcosa che quasi esplode nel valzer sbilenco di Amandoti, opera ultima dei CCCP che Zamboni suona dal vivo (incredibilmente) per la prima volta in carriera, e nel conclusivo fuori programma del Canto dei Sanfedisti. “Questa canzone è stata in viaggio con Luis là dove abbiamo sempre sognato di andare, gliela dedichiamo da quaggiù a lassù”.
“So’ risurti li puverielli a lu suono de campane, viva viva li pupulane a lu suono de viuline” e a risorgere alla fine sono le cose che davvero contano. La danza, il canto, la condivisione ci sono mancati, la notte del 9 luglio 2020 è arrivata a placare l’arsura quando pensavamo davvero di esserci smarriti: pubblico e musicisti. “I tempi non sono più quelli di prima – ci confida Zambo – Non possiamo più ammassare le cose, non dobbiamo mettere tanto insieme, ogni cosa ha bisogno del suo tempo”.
“È stato un tempo il mondo giovane e forte
Odorante di sangue fertile
Rigoglioso di lotte, moltitudini
Splendeva pretendeva molto
Famiglie donne incinte, sfregamenti
Facce gambe pance braccia
Dimora della carne, riserva di calore
Sapore e familiare odore
È cavità di donna che crea il mondo
Veglia sul tempo lo protegge
Contiene membro d’uomo che s’alza e spinge
Insoddisfatto poi distrugge
Il nostro mondo è adesso debole e vecchio
Puzza il sangue versato è infetto
È stato un tempo il mondo giovane e forte
Odorante di sangue fertile
Dimora della carne, riserva di calore
Sapore e familiare odore
Il nostro mondo è adesso debole e vecchio
Puzza il sangue versato è infetto
Povertà magnanima, mala ventura
Concedi compassione ai figli tuoi
Glorifichi la vita, e gloria sia
Glorifichi la vita e gloria è”
DEL MONDO Francesco Magnelli, Gianni Maroccolo, Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni