Rustin Man – Clockdust – 2020 Domino
Se i sogni sono messaggi la notte appena trascorsa ne ho fatto uno che mi diceva che l’incubo che stiamo vivendo finirà. Ho sognato che la quantità dei contagi era scesa in maniera repentina e inattesa verso un numero formato da sole due cifre.
Di fronte a casa mia c’è una fattoria e i campi che la circondano stanno germogliando, testimoni di una primavera che nonostante tutto è arrivata anche quest’anno. Da qualche tempo a brucare i germogli ci sono due bellissimi cavalli ai quali ogni tanto fanno visita due cani da pajè e a volte un gatto bianco. Li vedo ogni mattina quando arieggio casa in questi giorni che mi vedono costretto a starci chiuso. Per mio grande rammarico questa mattina non c’erano e ci sono rimasto male perché mi piace guardarli per qualche minuto. Ho pensato li avessero riparati in una stalla per via del freddo e della promessa di pioggia di ieri, o venduti. O peggio. C’era solo uno dei due cani che si aggirava un po’ smarrito. Dopo il secondo caffè sono andato a chiudere le finestre e ne ho visto uno dei due, quello con la criniera bionda accompagnato dal cane, allora sono uscito sul balcone e ho visto anche l’altro, semi-nascosto dietro un albero, intento a nutrirsi.
Non so perché ma mi è così venuta voglia di riaccostarmi al nuovo disco di Rustin Man dopo che me ne ero tenuto un po’ distante nei giorni passati, per il timore che non fosse molto indicato come sfondo sonoro a queste giornate. Adesso gira per la terza volta consecutiva e sono felice di averlo fatto suonare.
“Clockdust” arriva a sorpresa solamente un anno dopo “Drift Code”, quando l’attesa tra quel bel disco del 2019 e il magnifico e indimenticabile “Out of Season”, lo stupefacente esordio da solista di Paul Webb in coppia con Beth Gibbons dei Portishead, era stata di ben diciassette.
Il motivo essenziale risiede nel fatto che le canzoni che compongono “Clockdust” arrivano dalle stesse session che avevano dato vita al precedente lavoro, a testimonianza di uno straordinario periodo di creatività per l’ex bassista dei Talk Talk.
L’autore ne parla come di un lavoro ispirato a vecchi film e con gli strumenti tenuti più liberi e ariosi in contrapposizione ai suoni più densi e stratificati ascoltati nel disco precedente.
C’è da dargli ragione. Grazie al forte richiamo hauntologico della copertina, dove sono rappresentati dei personaggi abbigliati in stile retro-futurista che ricordano da vicino i giocattoli costruiti da J.F. Sebastian, il genetista colpito da invecchiamento precoce di Blade Runner, e al largo utilizzo di strumenti piuttosto desueti come l’eufonio, il kokoriko o l’okónkolo – riconducibili tanto agli Intonarumori di Russolo che, in tempi più recenti, a quelli scovati dal Tom Waits mimetizzato da rigattiere – l’ascoltatore è accompagnato in un’atmosfera sospesa tra sogno e dolce nostalgia.
É proprio il Tom Waits più avventuroso, quello di “Swordfishtrombones”, “Raindogs” e “Frank’s Wild Years” che viene in mente ascoltando Rubicon Song lo strumentale che arriva giusto a metà del programma e Kinky Living, per il modo in cui vengono utilizzati gli ottoni, le percussioni e la chincaglieria varia viaggia sulle stesse coordinate.
Gold & Tinsel, sembra uscire dalla penna del Damon Albarn alchemico di “Dr Dee” e sorprendentemente anche il timbro vocale lo ricorda da vicino.
La bellissima Jackie’s Room, scelta come singolo, nasce dalla Canterbury cara a Robert Wyatt e i contrappunti vocali riecheggiano quelli cari a Bowie, mentre certe dissonanze e la melodia un po’ sghemba che si ascolta in Old Flamingo sono la somma delle intuizioni dell’autore di “Shipbuilding” alle architetture tratteggiate dagli XTC del primo volume di “Apple Venus”.
Per le trame in qualche modo riconducibili ai Talk Talk di “Spirit of Eden” e “Laughing Stock” bisogna aspettare le atmosfere più rarefatte dei sette magici minuti di Night in The Evening che si sviluppano verso inesplorati territori ambient-dub.
Il compito di introdurre tutte queste belle cose spetta a Carousel Days, meraviglia che porta in sé qualcosa di ancestrale. La canzone, costruita su pochi accordi di pianoforte su cui si appoggiano via via strumenti a fiato e percussioni che conducono all’ingresso di una bellissima tromba, si colloca dalle parti del John Cale intimista di “Fragments of a Rainy Season” anche se mi piace immaginare che Paul Webb si sia ispirato a quello di “Music For a New Society”, un titolo perfettamente adeguato al futuro che ci attende.
E’ una bellissima giornata di sole, indosso la mascherina ed esco a fare due passi appena di fronte a casa. Ho con me la macchina fotografica, ci sono due cavalli e forse un cane che mi aspettano.