18 marzo 1977 : Voglio una Rivolta Bianca.
Non starò a qui a menarvela di aver seguito i Clash sin dalle origini. Nel marzo del 1977 ero in prima media dai Salesiani, distante anni luce dal fenomeno che scosse il mondo. Avevamo la messa fissa al martedi o al giovedi, giocavamo a pallone in un Derby senza fine. La classe era divisa equamente, il Toro ai tempi vinceva e faceva paura. Cantavo nel coro della Scuola e nella band dell’Oratorio, quindi in chiesa. Comunque, in quel periodo ero un ragazzetto che non si trovava il culo con le mani.
I Clash per me arrivarono in prima superiore, quindi stagione ‘79/’80. Ma veniamo al dischetto in questione. La prima volta che ascoltai White Riot (e tutto il primo album) fu come prendere due sberle da uno che ti dice di svegliarti. Rabbia, urgenza, scazzo. Era perfetto. Trovai la voce di Joe, roca e nervosa, perfetta per le mie orecchie. I cori da stadio dei soci, la brevità del tutto. Non saprei dire altro se non il classico “Nulla fu più come prima”.
Il messaggio della rivolta bianca, che qualche fenomeno scambiò per un discorso di razza e bollò i Clash come una band neonazi (ricordo un mio compagno che aveva un diario Rock, che li definiva “nazisti dichiarati”) arrivò poi forte e chiaro a tutti noi. Il gemellaggio con i giamaicani, Punk-rockers e Rasta, figli degeneri della stessa madre, i reietti della Società, uniti contro il Sistema oppressivo britannico. I Clash non vomitavano sul mondo, loro cercavano una via per esprimersi, il loro messaggio era altamente positivo. Già schierarsi per l’integrazione voleva dire prendere una posizione potente, in quella Londra là.
Mi piacquero subito, ed andarono a rimpiazzare i cantautori impegnati che ascoltavo di straforo da mia sorella. A quel punto scoprì un altro mondo e un altro modo di starci dentro. Delle due versioni, preferisco quella più lunga (presente sulla stampa canadese dell’album di esordio), rispetto a quella del 7” inglese, perchè Joe lì ha più spazio per arringare noi kids. E ogni volta che la ascolto, ancora oggi, mi fa venire voglia di spaccare tutto. Piatti, specchi, finestre, lampadari, piastrelle. TUTTO.
Piccolo aneddoto, Londra 11 luglio 2002, mi trovavo nel backstage dello Shepherd’s Bush Empire, con Joe a due metri da me. Stava conversando fitto fitto con un tizio, pareva non lo vedesse da molto, parlavano dei Cream. Noi scolaretti in attesa, lui ci vide, si interruppe e si scusò: “Ragazzi, abbiate pazienza, ho avuto una forte influenza, mi rilasso un attimo e poi sono da voi, per ora andate al bar, bevete un po’ di vino”. Cristo, Joe ci offrì da bere, realizzo ora!!! Poi, quando si concesse ad autografi e foto e arrivò il mio turno, scrisse con cura la dedica che potete vedere, facendo attenzione a non “pasticciare” i tre personaggi della copertina. Il riguardo tipico di Joe, lui era un vero gentleman, a suo modo. Il retro del 7” è 1977, un pezzo brutale che io adoro, anche se sclera su Elvis, Beatles e Stones. In quel periodo DOVEVI dire male di quelle band, anche se sono certo che i nostri eroi li ascoltassero in gran segreto, nelle loro camerette.
Figuriamoci, il cibo di cui si nutrirono per anni e che diede loro la spinta per fare da sé…
43 anni oggi, mettetelo su ‘sto vinile, ditemi voi se non è roba senza tempo. Questo sì che è un virus da prendersi, completamente, senza riserve…
“…And nobody wants to go to jail…”
GRAZIE, Sandro Clash 18 marzo 2020