In viaggio con Daniele e la sua “Terra sotto i piedi”
Un viaggio, quando si conclude, lascia sempre in bocca un sapore particolare. Che non è solo il gusto delle cose e delle persone incontrate, e dei luoghi vissuti, non solo il suono a volte leggero a volte fragoroso di tutti i passi camminati, come nemmeno è solamente i sorrisi e i pensieri apparsi sul tuo volto e su quello di chi ti ha accompagnato. Ciò che lascia, anzi, è qualcosa che ha più a che fare con le cellule, con il sangue e con tutto ciò che – entrandoti dentro definitivamente una volta concluso– viene da questo trasportato in ogni più intimo angolo del tuo essere.
Ed è proprio un viaggio quello in cui Daniele Silvestri ci ha voluto accompagnare al Pala Alpitur di Torino ieri, in quella che era l’ultima data del suo “La terra sotto i piedi” Tour; che – prendendo le mosse dal suo ultimo omonimo album – ha finito per essere solo il pretesto per mettersi in moto e vagabondare, a passi musicali, sulla terra modesta di questo nostro Paese.
Terra che Silvestri porta pure sul palco, sparsa su ogni centimetro ligneo su cui poggia i piedi, messa appositamente lì per ricordarsi – anche mentre suona e canta le sue canzoni – che le cose davvero importanti sono concrete, reali: come appunto quella terra che “la cui consistenza puoi sentire sotto i piedi mentre cammini”, e ne saggi il “sapore”, il profumo, la grana. Ed è proprio da lì che inizia, da quella terra che si unisce al filo rosso che si apre sugli schermi a fondo del palco e che cammina per tutta la sua lunghezza, irregolare ma continuo.
“Perché si può vedere
Persino in questa nebbia
Che a rimanere insieme
Magari poi stavolta
Qualcosa cambia”
E qualcosa è certamente cambiato negli anni, in questo cantautore romano ormai ultracinquantenne, che però sul palco assomiglia ancora un po’ a quel ragazzo con il codino che esordiva nel lontano 1994 con il suo album omonimo, e presentandosi al mondo con quella “Voglia di gridare” tipica della gioventù: venticinque anni passati non senza lasciare tracce, come un buon viaggio in realtà mai manca di fare. E i segni, infatti, si vedono tutti. Le rughe sul viso e sugli zigomi, quella voglia di raccontare e raccontarsi ma senza troppi inutili fronzoli, quel velo sottilissimo di stanchezza che forse potrebbe investire pure un po’ la voglia di lottare. Ma invece poi no, quella mai; perché nonostante ci capiti di vivere in Tempi Modesti, la speranza – e, con questa, la forza – si può trovare ad ogni angolo, in ogni pugno che si alza, in ogni cartello con annessa ‘sardina’ sventolato in faccia a chi vorrebbe farti credere che la diversità è un peccato, l’accoglienza un reato. Daniele (e mi permetto di chiamarlo per nome perché un po’ siamo coetanei, e molto invece siamo simili per idee) questo lo sa bene: per questo si porta in tour, oltre a una fantastica band di nove musicisti il rapper ermetico Rancore, con cui canta l’ultimo successo di Sanremo Argentovivo – a mio parere, una delle più belle dell’ultimo festival – e al quale lascia poi per un attimo la scena: nella voce arrabbiata di un giovane ragazzo c’è il pretesto per la denuncia di tutte le prigioni – reali, sociali, virtuali – di questo mondo deteriorato, umanamente necrotizzato: “Questa prigione corregge e prepara una vita \ Che non esiste più da almeno vent’anni \ A volte penso di farla finita \ E a volte penso che dovrei vendicarmi”.
La rabbia ritorna sempre nelle giovani generazioni, accomunandole e avvicinandole. Ed è anche un po’ la legittima denuncia di ciò che le generazioni a loro precedenti non sono riuscite comunque a fare: in questo doppio passaggio del testimone – Daniele, Rancore, Silvestri – c’è tutta l’intenzione di voler far passare un messaggio, concreto come quella terra che ogni tanto si alza dal palco: e cioè che insieme si possa ancora far qualcosa di importante. Pare quasi che voglia farcelo ricordare bene, visto che l’uscita di scena del rapper – dopo il bel duetto sulle note de Il Mio Nemico – ha il pregio di portare anche un altro piccolo viaggio dentro a quello più grande iniziato sulle prime note del concerto: un passaggio nella storia degli ultimi venticinque anni, attraverso le note della musica di Silvestri e dei suoi nove album. Una intensissima panoramica dal ’94 al 2019, passando tra le parole di tutti i suoi successi, alla maniera di un esteso medley. E così partiamo da Dove sei e da quel “sorriso che forse era strano, d’accordo \ e nemmeno poi troppo preciso \ ma dava al tuo viso \ qualcosa di unico e di delicato” a quel bellissimo abbraccio di Hold me ( So just hug me baby ) passando necessariamente dalle Cose che abbiamo in comune, e poi giù giù incrociando quelle note e parole nostalgiche di “A me ricordi il mare \ e non per le vacanze \ che abbiamo fatto insieme \ Ma per il tuo ondeggiare \ tra il gesto di chi afferra \ e quello di chi si trattiene” che altro non è che il movimento dell’amore; o – certo – del ricordo. E si ritorna pertanto ai giorni nostri, al suo ultimo album e agli ultimi due brani da lì estratti, con La vita splendida del Capitano (unico brano della sua carriera che parla della sua passione calcistica e dell’unico ‘numero 10’, per chiunque abbia il cuore giallorosso) e con Tempi modesti, che sono per l’appunto quelli di oggi.
Ma la coda di un viaggio deve essere anche quella di una piccola festa, quella di un incontro che non è peraltro affatto nuovo: e anche per questo – solo dopo aver ricordato insieme a tutti noi quel concerto di più di 20 anni fa all’ Hiroshima Mon Amour, in cui si rese conto che delle persone a lui sconosciute erano lì, in mezzo al pubblico perché conoscevano lui e la sua musica cantandola a memoria – ci si alza tutti in piedi a ballare e cantare Salirò, che ‘tra le rose musicali di questo giardino’ ci fa sentire tutti “un puntino lontano”, o a gridare ridendo il ritornello di Testardo, nominando tutti insieme “l’anima de li mortacci tua”, per poi alzare con fierezza e commozione il pugno, perché “o victoria o muerte”.
Ed è solo allora che ci si rende conto che, alla fine di un viaggio, quando tutte le persone, i luoghi, i chilometri, i sorrisi, i passi fatti, le suole consumate, i soldi spesi, le parole strozzate e quelle dette se ne vanno una per volta – così come fanno i componenti della sua straordinaria band mentre mollano gli strumenti e si allineano a bordo palco uno per uno, sulle note della chitarra e della voce di Silvestri e della sua Alla fine – è solo allora, dicevamo, che ci rendiamo conto che in fondo siamo un po’ cambiati anche noi durante questo concerto e questo tour appena concluso, e che – per dirla un po’ come direbbe De Gregori – alla fine di un viaggio ne puoi sempre ricominciare un altro. E davvero “tutto ciò che viene dopo \ Non è avvenuto \ Si può cambiare \ Immaginare \ Da lì in poi \ Da qui in poi \ Dall’alto \ C’è sempre \ Qualcuno \ Che guarda”: e ascolta – con orecchie e cuore – le note e la voce di un uomo, un artista, un vecchio (ma non troppo) ragazzo degli anni ’90 – come noi – che stupisce, e si stupisce ancora di tutta quella gente che a fine viaggio lo saluta dalla banchina della stazione.
Testo di Stefano Carsen, Foto di Roberto Remondino
Setlist
- Qualcosa cambia
- Marzo 3039
- Complimenti ignoranti
- Concime
- Scusate se non piango
- Manifesto
- Tutti matti
- Precario è il mondo
- L’appello
- La guerra del sale
- Argentovivo (con Rancore)
- Arlecchino (Rancore cover)
- Il mio nemico
- Dove sei
- Le cose in comune
- Hold me
- Strade di Francia
- Desaparecido
- Occhi da orientale
- 1000 euro al mese
- A me ricordi il mare
- Monetine
- Acqua stagnante
- L’amore non esiste (dal progetto Fabi Silvestri Gazzè)
- La mia casa
- La vita splendida del capitano
- Tempi modesti
- Gino e l’Alfetta
- Salirò
- Le navi
- Prima che
- La paranza
- Testardo
- Cohiba
- Alla fine