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Animal Collective: “Ballet Slippers”:10 anni da “Merriweather Post Pavillon”

“Signora mia, una volta qui era tutto glo-fi, o hypnagogic pop, o – come lo chiamavamo noi – drugapulco” (Emiliano Colasanti)

Di tanto in tanto, nel fantastico mondo di un genere/non genere che per praticità e per facilità evocativa chiamerò “indie-pop”, accade che esca un disco che per innovazione, o meglio per apertura mentale e per volontà di abbattere gli steccati tra i generi da parte dei suoi autori, ridefinisca il genere stesso, creando nuove mode e nuovi hype. Non c’è nessuno che riesca ad essere più trendsetter di chi se ne sbatte di voler essere un trendsetter, fidatevi. Gli altri sono solo delle pecorelle che provano a fare i fighi con le spalle coperte.
Forse il primo disco che io ricordi che ha avuto questo coraggio è stato “Funeral” degli Arcade Fire, uscito nel 2004. L’elemento corale che faceva tanto socialità e volemose bene spazzò via la nuvola fantozziana del solipsismo fine a stesso tipico dell’indie maker.

animal collective
Arrivò poi nel 2007 “Oracular Spectacular” degli MGMT che con le sue 3 hit spacca indie-charts ha portato all’evidenza del grande pubblico il binomio elettronica-psichedelia hippy rompendo le scatole ai puristi dell’una e dell’altra che tanto se ne stavano tranquilli nel loro giardino a coltivare patate: rigorosamente OGM i primi e BIO i secondi.
Nel 2008 forse si abbatte lo steccato più grosso: i Vampire Weekend nel loro album omonimo d’esordio si permettono addirittura di inserire ritmi tribali e africani. Tabù assoluto nel mondo indie sino a quel momento. Dei viziati sbarbati figli di papà, ricchi, con addosso vestiti firmati, che frequentano le migliori università d’America prendono il Continente Nero e lo inseriscono nel loro bellissimo album shabby chic e lo fanno senza scimmiottare nessuno ma basandosi sulla loro percezione di cosa voglia dire Africa, idealizzata, forse sbagliata, ma che funziona, eccome se funziona!

Ed eccoci giunti al 2009. Un gruppo di nome Animal Collective che ad inizio carriera si era fatto le ossa suonando un po’ in tutti i locali di New York – a tal riguardo risulta epica la frase di Calcutta in un’intervista a Rolling Stone “Un giorno andavi in una taqueria e il giorno dopo nello stesso posto ci suonavano gli Animal Collective” – che poi si era affermato con una specie di folk-psichedelico, che poi aveva approcciato l’elettronica, decide di dedicarsi anima e corpo a quest’ultima, accantonando per il momento le chitarrine acustiche degli esordi. “Merriweather Post Pavillon” è il risultato. Ed è una vera mina. Potenza, equilibrio, fantasia: bersaglio centrato.
L’entrata in questo fantastico mondo avviene attraverso i fiori acidi di “In the Flowers” che montano perfettamente il latte per la panna che viene subito dopo: “My Girl”. Ritornello appiccicaticcio in salsa freak che non ti lascia scampo. Si prosegue così in una canzone dopo l’altra, dentro l’altra, passando attraverso vestiti estivi, routine giornaliere, leoni in coma sino ad arrivare a quel trascinante caleidoscopio di “Brother Sport” che vorresti non finisse più per quanto diventi una sorta di mantra tribale che ti riporta alla vera natura ritmica dell’anima.
54 minuti di elettronica giocosa con synth di vario tipo che si rincorrono in una danza psichedelica ed affascinante, sempre piena di meraviglie e di magia. Come la danza di Shiva che da inizio alla creazione del mondo.
Quale mondo abbiano creato però non lo so. È un lavoro talmente personale che non ha avuto poi tanti emuli. Forse chi ci ha provato ha avuto il buon gusto di non farcelo sapere.
I tre eroi si fanno chiamare Avey Tare, Panda Bear e Geologist e suonano tutti un po’ di tutto e hanno e avevano anche prima di questo disco convincenti carriere soliste.
Menzione particolare per la carriera di Panda Bear, un Brian Wilson ancora più allucinato, laureato in teologia, che si distaccherà in parte da quanto fatto con il Collettivo Animale con una serie di dischi splendidi. Una ricerca personale dello spirito della vita e dell’essenza dell’esistenza, coronato, due anni prima di “Merriweather Post Pavillon”, da “Person Pitch”, che all’interno contiene “Bros”… e non aggiungo altro…un percorso ancora più profondo e più avvincente di quello del suo gruppo.
Questo “Ballet Slippers” è un disco live, di live fatti nella loro America dieci anni fa, perché i nostri hanno voluto onorare il decennale da “Merriweather” non con una trionfale riedizione con qualche bonus track ma onorando il loro ricordo di quell’anno. I live. Hanno passato praticamente l’intero 2009 in giro per il mondo a suonare i loro synth e così lo vogliono ricordare. 12 brani per 1 ora e 35 minuti di durata, disponibile anche in triplo vinile, che riproduce per intero un loro concerto dell’epoca.
La tracklist alterna i pezzi cardine dello scheletro di “MPP”: “In the Flowers, Summertime Clothes, Guys Eyes, My Girls, Lion in a Coma, No More Runnin’, Daily Routine, Brother Sport”, con tracce degli LP precedenti e dell’EP immediatamente successivo funzionali alla riuscita del progetto. E indovinate un po’? Funziona perfettamente e si propone come idea interessante per festeggiare anniversari di dischi importanti. L’effetto è ancora più stralunato e stroboscopico del disco fisico. I suoni del trio e le voci di Avey Tare e del Panda trascinano in un’altra dimensione fatta di elefanti che danzano su teiere in porcellana su sfondo arcobaleno in movimento. Come farsi un acido senza effetti collaterali se non quello di non volersi mai separare dalla loro musica.
Non è facile continuare ad essere innovativi e convincenti dopo così tanti anni ma i nostri Animaletti preferiti hanno tutte le carte in regola per riuscirci.
Continuate a sperimentare amici, vi aspettiamo presto.

 

Andrea Castelli

“All I want in life is a little bit of love to take the pain away, getting strong today, a giant step each day” (“Ladies and Gentlemen we’re floating in space” - Spiritualized)