“Big Thief – Two Hands”
“Dentro il cuore un altro cuore racchiudi.
Dentro il cuore un altro cuore è presente.
Questo cuore dentro il cuore è pensiero
che precede le parole.”
(Neiye; Capitolo 14, versetti 14-17)
(Traduzione italiana tratta da:
Neiye – Il tao dell’armonia interiore – a cura di Amina Crisma)
A volte capita di essere costretti ad affrontare un ostacolo fuori dalla nostra comfort zone o anche solo di attraversare un momento di stasi personale o di particolare difficoltà esistenziale. Nonostante questo, succede che basti un particolare, una situazione, un attimo, perché il cuore si possa sentire a casa come forse poche volte si è sentito.
Per fortuna nell’arte questo accade spesso e forse è il motivo della sua stessa esistenza, quello che fa breccia nelle donne e negli uomini dall’animo pronto ad accoglierla: far sentire il cuore a casa.
È proprio questo l’effetto che si prova dopo pochi secondi dalla partenza di “Rock and Sing”, prima traccia di “Two hands”, quarto album in studio dei Big Thief, band attualmente di base a Brooklyn, New York, coccolata dalla critica internazionale.
Sarebbe da stupirsi del contrario visto che i ragazzi hanno sfornato ben 2 album nel 2019, abbastanza diversi tra loro ma che verranno ricordati nei decenni a venire senza fatica, entrambi, tra i migliori LP di questi maledetti/benedetti anni ’10.
“Earth twin” lo definisce la cantante Adrienne Lenker, voce e trapano emotivo del gruppo, proprio in contrapposizione al “Celestial twin” “U.F.O.F.”, quando le si chiede la principale differenza tra i due figli legittimi partoriti dal suo gruppo quest’anno.
La definizione è più che calzante considerando che è proprio questa la sensazione provocata dai 40 minuti di “Two Hands”: una viscerale ricerca di casa, di terra, di cuore, di fango. Ricerca che inizia sin dalla scelta di registrare l’album in presa diretta, con pochissime sovraincisioni, senza curarsi di lasciare impressa nel mixing qualche imprecisione di troppo o un suono più rustico di quanto di solito è concesso ad una band affermata.
Tanto c’è sempre la voce di Adrienne a farci volare in territori inesplorati, sognanti ed eterei, proprio lei, con quei capelli “così corti che quasi le vedevi i pensieri” (citando i nostri Coma Cose). Dieci tracce che passano dal tenero country folk delle prime canzoni sino ad arrivare al centro nevralgico del disco: “Shoulders” con quella frase nel ritornello: “And the blood of the man who killed my mother with his hands, is in me, it’s in me, in my veins” cantata con il cuore in gola, quasi a voler prendere coscienza della propria parte oscura che tanto ci ostiniamo a negare, con il rischio che diventi troppo grande per poterla fermare in qualche modo. Forse starebbe al suo posto, un po’ come i fantasmini di Super Mario Bros, o si scioglierebbe come neve al sole, se solo l’accettassimo come facente parte di noi.
Citazione a parte per “Not”, il pezzo più distorto e rabbioso del lotto, con quella sua coda strumentale che ricorda gli Yo la Tengo dei tempi buoni (magari dell’album dal titolo chilometrico e dai colori di copertina giallo-rossi) perfetta per presentare il disco live al Late Show di Stephen Colbert a New York. Un’esibizione che fa trasparire perfettamente come questi quattro ragazzi più che una band siano una famiglia, un affiatamento sintomo di un legame spirituale al momento difficilmente scalfibile.
Sembra percorrere una via illuminata questo “Grande Ladro” e da la sensazione di ascoltare un gruppo che sia all’apice della sua carriera, della sua ispirazione, dei Neutral Milk Hotel che hanno appena composto “In the aeroplane over the sea”.
Io fossi in voi (e infatti conto di farlo) non mi perderei una delle due date live programmate per il 22 e il 23 Febbraio, rispettivamente a Bologna e a Milano, anche perché avrei sempre voluto vedere i Neutral Milk Hotel semisconosciuti che suonano per poche persone il loro capolavoro appena sfornato…