Una passeggiata sulla luna – Reggatta de Blanc 40 anni dopo
È il 5 Ottobre 1979 mancano 10 giorni al mio tredicesimo compleanno.
Nella cameretta con letto a castello che condivido con mio fratello trova posto un giradischi compatto, due o tre LP, una piccola pila di 45 giri. La classifica di vendita dei singoli pubblicata da TV Sorrisi e Canzoni della settimana schiera sul podio: Soli di Adriano Celentano, Tu sei l’unica donna per me di Alan Sorrenti, Super Superman di Miguel Bosé. I jukebox sulle spiagge li hanno martellati nelle orecchie senza requie tutta l’estate. Anche a Corfù, la destinazione delle nostre vacanze estive, le prime all’estero, ve ne erano giunti echi attraverso le radio delle nostre auto che riuscivano a recepire le trasmissioni italiche.
Ma in quei giorni di inizio autunno è molto diversa la musica che rimbomba gracchiante dalle scarsissime casse del nostro giradischi. È qualcosa di estremamente eccitante, inaudito alle nostre orecchie vergini, qualcosa che non permette di restare fermi.
Il 45 giri che ho comprato, dopo averne letto qualche mini recensione su TV Sorrisi e Canzoni, si presenta in una confezione straordinaria, non la normale bustina di carta. La cover blu scuro con un disegno stilizzato di una bottiglia sulle onde si apre in formato poster per rappresentare tre visi in penombra di giovani uomini con la testa bionda. In alto campeggia la scritta The Police, in basso in corsivo un’altra scritta enigmatica: Reggatta de Blanc.
Message in a Bottle è arrivata nel mondo il 21 di settembre e da qualche giorno, appunto, ne ho anch’io una copia presa con la mancetta settimanale e la faccio girare incessantemente sul piatto. Quel riff di chitarra mi fa letteralmente impazzire ma è all’entrata gommosa del basso su quella ritmica forsennata che davvero do di matto e così per tutti e quattro minuti e cinquanta di durata fino allo spegnersi della serie infinita di “sendin’out an S.o.s.” che prelude al ritorno del braccetto in posizione di standby, pronto per essere riportato all’inizio.
Quel 5 Ottobre è l’album a raggiungere i negozi italiani, tre giorni dopo essere uscito nel Regno Unito.
Comprare un album necessitava di uno sforzo non indifferente in termini di raccolta di mancette stante che le stesse erano in parte destinate a fumetti e figurine. Non l’avrei potuto prendere subito questo purtroppo era certo. Mi sarei accontentato del secondo singolo: “Walking on the moon”, un viaggio dilatato nello spazio che era quanto di più avvolgente e avventuroso in termini musicali una mente di quell’età poteva immaginare.
Arrivai all’ascolto integrale di Reggatta De Blanc e di seguito di Outlandos d’Amour mesi dopo e fui travolto.
La limitatissima conoscenza in ambito musicale non mi permetteva di identificare e distinguere le diverse componenti del suono dei Police utilizzando gli strumenti che avrei oggi, ed era probabilmente questa la cosa in assoluto più eccitante, non avere parametri, non potere sezionare la musica che mi arrivava, non poterla analizzare, lasciandomi quindi al puro trasporto emotivo non filtrato. Il poco che conoscevo in ambito rock aveva le fattezze del pop dei Supertramp, degli Elo, del suono FM degli ultimi Eagles, o dell’hard rock cafone dei Kiss e dei Van Halen. I Police alle mie orecchie erano altro, c’era più “spazio” che nel resto di quanto conoscevo, la musica respirava con una dinamica nuova, le ritmiche erano travolgenti e scintillanti, le chitarre facevano cose che in qualche modo suonavano ultramoderne alla mia testa totalmente digiuna di definizioni quali: punk, new wave, reggae.
Il modo di cantare di Sting indugiante sulle note alte, le sue melodie che si appiccicavano in testa per ore senza lasciarti più, il rutilare dell’asciutto rullante di Copeland, la cristalleria leggera della sei corde effettata di Summers mi esplodevano in faccia tutta la loro fresca irruenza dai solchi di Reggatta De Blanc.
Il disco, che si apriva con il messaggio nella bottiglia ormai imparato a memoria, era tutto uno scrigno di “preziosi”, alcuni dei quali con il tempo si sarebbero rivelati forse di bigiotteria al contrario di altri invece purissimi. Si passava dai contagiosi “lioo, lioo…lioo-o” della title track, agli “it’s alright for you and you and you” ripetuti sulla ritmica saltellante, all’affascinante alternarsi degli arpeggi e della chitarra in levare in quella meraviglia di “Bring on the night”, al delay (che ovviamente non avevo la minima idea che si chiamasse cosi) sull’incombente strumentale “Deathwish” che chiudeva la prima facciata. E poi di nuovo dal botta e risposta di tre semplici e profonde note di basso con il chorus della chitarra nella irresistibile “Walking on the Moon”, alla nevrotica “On any other day, al mio primo viaggio, totalmente inconscio, nel dub di “The bed’s too big without you”, ai sinistri bassi di “Contact” a fare da materasso ai riff angolari di chitarra, alla balzellante “Does everyone Stare”, alla corsa a perdifiato di “No time this time”.
Con il senno di poi mi sono convinto che “Outlandos d’Amour” a livello di scrittura sia un disco superiore. In Reggatta si riconosce la debolezza di alcuni brani che, riascoltati oggi, suonano un po’ come riempitivi, del resto fu un disco uscito in fretta in cui si dovette inserire le idee, non tutte convincenti, che Sting e Copeland avevano a disposizione subito dopo aver svuotato i cassetti per Outlandos (tra i due dischi intercorrono solo 11 mesi).
La capacità e freschezza esecutiva, la fantasia nell’arrangiamento ed alcuni brani dalla scrittura immortale riuscirono a rendere il disco comunque una specie di barilotto di dinamite in grado di far saltare il mondo per aria in quel 1979 che pur di dischi eccezionali era punteggiato.
E quel barilotto incendiò anche la nostra stanza. Una scintilla in grado di accendermi dentro quella vampa chiamata “amore per la musica” che a 40 anni di distanza ancora non si è spenta.
Il messaggio nella bottiglia non è andato smarrito.