Liberi tutti (o quasi)
Le persone chiedono la libertà di parola come una compensazione per la libertà di pensiero che usano di rado.
(Søren Kierkegaard)
Le persone credono di essere libere, ma sono solo libere di crederlo.
(Jim Morrison)
“Freedom,
That’s what I want now
Freedom, that’s what I need now
Freedom to live
Freedom, so I can give”
(Jimi Hendrix, “Freedom”)
Per quel suo essere uno degli argomenti più complessi, quello della libertà, non può essere trattato troppo genericamente, per molte ragioni. Perché si rischia di perdersi in mille piccole digressioni, di esprimere concetti banali, di citare filosofi a casaccio o – al più, nella migliore delle ipotesi – di esprimere concetti già visti e archiviati. Un discorso sulla libertà, pertanto, va da subito delimitato, puntando ad un singolo aspetto o sfumatura, che ne limiti le eventuali digressioni, e ne chiarifichi il percorso. Il che è di certo una stranezza, se vogliamo: cioè, che per essere il più chiari e univoci possibili, si debba proprio delimitare, incanalare o – detto in altri termini – incatenare un ragionamento sulla “libertà” per fare in modo che non debordi e non diventi inutile, privo di un senso compiuto. Detto in una parola, vuoto. Come dire che l’eccessiva libertà, nei discorsi e nelle dissertazioni sulla libertà stessa, renda vana ogni intenzione e senza valore ogni conclusione. Dicono che sia un diritto inalienabile dell’essere vivente: ma pare che solo chi se la sia vista negata, la libertà, abbia davvero un’idea di quanto possa essa valere. E spesso è proprio così: per arrivare a constatare il pieno valore di una certa cosa, serve prima che quella cosa – oggetto, diritto, sentimento – venga proibita, negata o fortemente limitata. E’ quando davvero ne sentirete la mancanza, quando dentro di voi ne percepirete forte il bisogno e la necessità, che avrete in voi finalmente il pieno sentimento del valore di quella data cosa. E, solo a quel punto, vorrete essere pienamente liberi di arrivarci. Non importa come. Anche in catene, se necessario.