La Realtà, immagino.
La realtà è il più abile dei nemici. Lancia i suoi attacchi contro quel punto del nostro cuore dove non ce li aspettavamo e dove non avevamo preparato difese.
(Marcel Proust)
Il mondo è a colori, ma la realtà è in bianco e nero.
(Wim Wenders)
“The television’s just a dream,
The radio, the silver screen.
A big smile for the camera,
How did she know?
The moment could be lost forever
Forever more”
(REM, “Photograph”)
Realtà contro immaginazione: una battaglia che ha scatenato dibattiti accesi fin dai tempi della sofistica, quella corrente di pensiero ellenica il cui padre Protagora considerava la realtà come una specie di “superficie” di per sé amorfa, considerabile nella sua esperibilità solo in base all’uomo, che ne costituiva il metro di giudizio: e se la realtà oggettiva appare differente in base agli individui che la interpretano, allora nulla di ciò che è reale per te lo deve necessariamente essere per chiunque altro. Va da sé che, se davvero così fosse, tra immaginazione e realtà non ci sarebbe poi tutta questa differenza.
Certo, dai Sofisti ad oggi sono passati decine di secoli, e tutte le scienze umane (ivi compresa la Filosofia) hanno compiuto progressi e si sono ovviamente evolute, e sul tema dell’esperienza, della conoscenza e (pertanto) della realtà e dell’immaginazione altri filosofi hanno dato il loro essenziale contributo.
Non mi preme certo farvi una storia della filosofia moderna, state tranquilli: non ne sarei capace, e rischierei di passare per quel pistino a volte un po’ saccente, quale in realtà a volte sono. Ma se addirittura in più di due millenni ancora non si è definito univocamente il grado di relazione e – quindi – d’importanza tra realtà e immaginazione, un motivo concreto ci dovrà pur essere. Il motivo – questo si è univocamente riconosciuto – siamo noi e ciò che ci rende ciò che siamo. Non parlo qui ‘noi’ nel senso di “umanità”, specie, genere: intendo dire ‘ognuno’ di noi, nessuno escluso. Perché, in quanto individui – lo dice la parola stessa – pur essendo parte di un tutto, di una comunità, alla fine (ridotto all’osso e asciugati del nostro bisogno di interagire e vivere comune) siamo isole di un grandissimo arcipelago. Riusciamo cioè a sentire e vedere chiaramente solo ciò che il nostro vissuto, i nostri occhi, il nostro aggregato più o meno razionale di ossa-vene-carne e materia grigia ci consente direttamente di percepire. Per quanto ci sforziamo di fare, empaticamente parlando, ciò che ci apparrà sempre più chiaro del resto è solo ciò che direttamente riusciamo a vedere, toccare: esperire.
Il resto ce lo potremo sempre e solo immaginare. E in questo caso, ci tocca lasciare ai nostri posteri – magari più evoluti e fortunati di noi – lo stabilire in cosa esattamente consista la realtà. Quella vera. Credo fermamente che sia così. O per lo meno, immagino.