Fenici a metà – Gli Afghan Wigs e Gentleman
Vi è mai capitato di iniziare qualcosa con passione sfrenata, cieca e incontrollata, che quasi vi viene da pensare che si spaccherà il cuore nell’eseguirla, tanto che qualcuno prima o poi vi ritroverà morenti nel disperato atto di portarlo a termine? Ed è poi successo che – in almeno uno di questi casi – la sfrenatezza e l’impeto iniziali lasciassero il posto ad una saggia e quieta perizia, una doviziosa cura dei particolari che invece vi riportava a vivere il tutto con tranquillo distacco? E poi, vi è ancora accaduto che arrivando al termine di quel lavoro, o passione, o progetto, vi accorgeste che di cose, come quella, non ne avreste mai più fatte, vissute, concepite altre? Questo perché la passione, si sa, a volte si spegne così come una candela: che all’inizio brucia allegra e forte, e poi man mano si consuma fino a dileguarsi in un melanconico mulinello di polvere. Non sempre le cose vanno come speravamo che andassero all’inizio, quando vi ci siamo buttati a capofitto: ma non è detto che questo sia sempre un male.
O per lo meno, non del tutto. A volte può accadere che due ragazzi come tanti, amanti della musica, giovani chitarristi inquieti immersi in un mondo di pari età yuppie rampanti, si incontrino proprio nel posto in cui mai avrebbero pensato di ritrovare il proprio alter ego e, sostanzialmente, il proprio futuro. E uscendone, decidano di proseguire fianco a fianco il proprio cammino, così da creare un’incendiaria miscela di musica e amicizia. Greg Dulli, nel 1986, è un cantante e chitarrista poco più che ventenne, nato in Ohio, e amante del rock alternative e del punk, e annovera fra i suoi gruppi preferiti, gente come The Replacements, Dinosaur jr e Husker Du. Come tanti giovani della sua età, essendo parecchio incline all’alcool, finisce al fresco: e lì conosce un suo coetaneo, Rick McCollum, amante dei suoi stessi generi musicali e chitarrista come lui.
E così, mentre smaltiscono la sbornia, progettano di continuare a conoscersi, e di infiammare il proprio futuro. Si trasferiscono a Cincinnati, si iscrivono all’università locale e fondano un gruppo rock alternative insieme ad un altro amico incendiario, lì conosciuto: il gruppo prende il nome di “Afghan Wigs”, che tradotto significa “Gli indipendentisti afgani”; un nome che probabilmente voleva suscitare funesti ricordi e accese reazioni in chi li avrebbe incontrati. Il loro sound è un coacervo di influenze, che parte da Neil Young, passa attraverso The Replacement e Husker Du, per arrivare ai Dinosaur Jr e ai Soul Asylum. Poeticità, aggressività, rabbia e tristezza si condensano omogeneamente in un impianto sonoro che trae la sua originalità per la presenza di impercettibili – almeno all’inizio – venature soul. Le liriche di Greg Dulli sono intimiste, forse autobiografiche, ma non hanno la passione autodistruttiva di un Kurt Cobain (tanto per citare un autore loro contemporaneo molto conosciuto) nè la rabbiosa e urlata voglia di denuncia e lotta di un Eddie Vedder. Dulli è un musicista “colto”, non di sicuro eccessivamente viscerale, ma certamente vivo nella sua voglia di comunicare.
Forse proprio per questo a me poco più che ventenne piacque molto “Gentleman” loro 3º e forse più riuscito album: equilibrato e mascolinamente controllato nella sua veemenza calcolata. I più lo definirebbero ‘album maturo’, che contiene al suo interno capolavori come “When We Two Parted” oppure “My curse”, o ancora appunto “Gentleman”, canzone che dà il titolo all’album. Il fuoco che bruciava forte e tentava di colpire duro nei primi due album, qui raggiunge una fiera e composta luminescente forza musicale che accende l’ascoltatore, e lo trasporta ad un passo dal Grunge, stuzzicandolo però con toni funk, e stabilizzando il tutto con una vena dai contorni Indie. Ed è il loro punto più alto, da cui o si spicca il volo e, infiammati come una fenice, ci si rigenera in una nuova e più fulgida livrea o, come poi accadrà, si capitola iniziando una lenta caduta, rotolandosi nella polvere della dimenticanza. L’album “Black Love” infatti non avrà la capacità di sviluppare una nuova livrea, e “1965”, sebbene di miglior fattura del precedente, lascerà il gruppo nella amara accettazione di ciò che avrebbe potuto essere. Tre anni dopo, la band si scioglierà, anche se non definitivamente: ma il fuoco ha comunque bruciato, come doveva. Come poteva.
“I stayed in too long
But she was the perfect fit
And we dragged it out so long this time
Started to make each other sick”