TODays 2019, giorno due
Il TOdays festival è la rappresentazione di ciò che vorrei che fosse Torino, la mia città, casa mia, se fosse anch’essa un festival musicale. Accogliente, solare, adatto a tutti coloro i quali amano la bellezza, la bella musica, e gli eventi sociali. Un luogo in cui non sempre ci sono grandi attrazioni, quelle milionarie (anche se, si, ci sono e ci sono state anche quelle), ma dove puoi anche scoprire angoli, o intere cattedrali, musei, luoghi naturali che non credevi esistessero, che non si trovavano sulle guide specializzate, ma che comunque hanno il potere di lasciarti a bocca semiaperta rendendo indimenticabile il tuo viaggio e il tuo soggiorno. Solo che qui si parla di un viaggio musicale, e il soggiorno è tutto fatto di musica. E che musica.
Nella giornata di ieri, sabato 24 Agosto, si sono prodotti sul palco principale del festival, 4 artisti e gruppi con differenze sostanziali tra loro e la musica che donano al mondo: ma, ognuno a suo modo, ci hanno fatto apprezzare scorci musicali del Todays l, che rimarranno pagine indelebili nel nostro libro d’appunti di viaggio.
Il primo a salire sul palco è stato Adam Naas, artista ventitreenne di origine francese, che sulla sua (non aggiornatissima) pagina facebook si definisce “Dark Romantic Soul”, un’anima romantica e notturna.
Ed in effetti Adam, che ha al suo attivo un solo album piuttosto interessante, scrive brani di classe e intimità dal gusto prevalentemente soul, che potremmo arditamente accostare ad un Jeff Buckley (per scomodare un nome illustre) o – per malinconia e maniera di trattare alcune sonorità – ad un Tamino, se volessimo trovare qualcuno di più anagraficamente vicino. Un giovane astro nascente, che credo potrà dare ottime prove di sé, crescendo. Subito dopo di lui, è stato il turno di One True Pairing, progetto parallelo di Tom Fleming dei per ora accantonati Wild Beasts (band indie rock inglese, 5 album all’attivo, dal sapore elettronico e della influenze synth-pop), che in tour sta portando in anteprima le canzoni del suo primo album omonimo, in uscita a settembre. Un artista sicuramente eclettico, dotato polistrumentista, che per il suo album ha affermato di essersi ispirato a gente del calibro di Bruce Springsteen, Don Henley e Tom Petty oltre che dai Depeche Mode e dagli Swans. Ed in effetti, rispetto alla musica che suonava con i suoi Wild Beast (spalleggiato dal suo sodale e alter ego Hayden Thorpe) in questo suo progetto appare meno legato ad una concezione del revival synth pop più “laterale” e assai poco commerciale, più marcatamente elettrico che elettronico. Un disco di musica rock, “appuntito” e spigoloso, un po’ canticchiato e un po’ scabroso. Tutte cose anticipate da Tom, e confermate ieri sul palco. Un disco da comprare e ascoltare, e riascoltare.
I Low arrivano come una dolce ondata notturna, malinconicamente attesa: come certe serate che aspetti da tempo, o quei ricordi che a volte ritornano e non fanno più male ma increspano sorrisi ai lati della tua bocca. Il due americano, originario del Minnesota, sa dove andare a colpire – o meglio, accarezzare – utilizzando tutte le armi a disposizione nel loro arsenale slow-core di 12 album.
E’ un percorso nella loro musica, un autentica passeggiata di salute sonora, tra le atmosfere rarefatte dei primi dischi “I Could Live in Hope” e “Long Division”, l’approdo a tonalità più pop, e su su fino al recentissimo “Double Negative”, un approdo lieve, oscuro e intimista, sguardo disilluso e iperrealistico su una quotidianità che pare uscita da un film post-apocalittico. Un pugno allo stomaco farebbe meno male, ma questa è più che altro una carezza: l’ultima, quella più dolce e più amara, di quelle che si ricevono alla fine di una storia. Se non li conoscete, li amerete ascoltandoli, ne sono certo.
In chiusura serata un Hozier che un po’ te l’aspetti, e un po’ no. Non il genere a me più consono, ma di certo un grande artista. Riempie l’arena di ragazzi e ragazze, ma intrattiene piacevolmente anche quelli un po’ meno giovani, come il sottoscritto.
Circondato da una band di musicisti capaci, e di musiciste bellissime e bravissime (che, invero, attraggono gli sguardi di uomini e donne per la loro bravura mista ad una certa non casuale bellezza), ridà una sferzata a quel pubblico che i Low avevano lasciato in un tormentato, amaro sogno edulcorato. Andrew Hozier-Byrne, conosciuto come Hozier, irlandese cantautore quasi trentenne dai fluenti riccioli tendenti al biondo, dimostra al mondo che produrre rock commerciale non è il male del secolo, se lo sai cantare e suonare con la sua capacità. E devo dire che come fine del viaggio di giornata, all’interno della cittadina TOdays Festival, era perfetta: ballare e cantare tutti insieme è la miglior fine per una festa che, nella serata di Johnny Marr e Jarvis Cocker, avrà il suo atto conclusivo.